Era già successo alla fine dell’Ottocento con la Guerra del Pacifico, quando Bolivia e Perù si scontrarono con il Cile per il controllo di ricchissimi giacimenti di salnitro, fondamentale per la fabbricazione della polvere da sparo. Da sempre, le materie prime necessarie all’industria bellica sono focolai di tensioni o, appunto, di guerre. L’andamento odierno dei prezzi delle materie prime strategiche è un segno del capovolgimento delle priorità dell’industria globale ai tempi della moltiplicazione dei conflitti. Il prezzo del litio, metallo imprescindibile per la transizione energetica, è crollato del 70% in meno di un anno a causa del rallentamento della produzione di batterie per le auto elettriche dovuto alla diminuzione della domanda da parte dei consumatori. Il cambiamento climatico è tornato ancora una volta a essere eclissato da altre emergenze, questa volta di carattere militare.

Lo si può dedurre dall’aumento del prezzo dell’antimonio e del rame, che entro il 2026 assorbirà il 15% dell’offerta globale di rame raffinato. Il cobalto e la grafite vengono invece usati nei motori dei caccia e nei missili di precisione e sono considerati i metalli più strategici, così come l’alluminio, presente in tutte le forniture militari. Anche il titanio è fondamentale per gli aerei da combattimento, e può costituire fino al 20% del loro peso. La questione del prezzo di queste materie prime diventa però secondaria di fronte alla situazione geopolitica. Su tredici metalli strategici, otto sono praticamente monopolizzati dalla Cina, due da un suo paese satellite, la Repubblica Democratica del Congo, e uno da un suo alleato, il Brasile. Come per la transizione energetica, anche per lo sviluppo dell’industria bellica il ruolo di Pechino è centrale. È una situazione che mina alle fondamenta l’arma delle ritorsioni economiche o delle sanzioni contro la Cina in caso di contrasti commerciali.

I Paesi occidentali, sul fronte delle materie prime necessarie alle industrie più all’avanguardia, camminano sulle uova. Se Pechino scegliesse di adottare ritorsioni, non si preoccuperebbe della mancanza di vino, carne di maiale, gorgonzola o pinot nero: saremmo noi a non poter rinunciare a litio, cobalto, titanio e terre rare. I dirigenti cinesi sanno bene che Stati Uniti e Unione Europea non sono assolutamente in grado di fare fronte a un blocco delle importazioni dalla Cina e questo ha un peso nel momento in cui si decide di sostenere l’Ucraina, contrariamente alle volontà della Cina, che vuole sì un negoziato, ma che sia vantaggioso per il suo alleato-vassallo russo.

Non era mai successo che potenze militari globali fossero così dipendenti da fornitori di materie prime strategiche non controllabili politicamente, come invece accadeva per le colonie dell’impero britannico. Questa situazione si è andata a creare negli anni nel totale disinteresse occidentale, mentre la Cina da una parte diventava potenza di riferimento per i Paesi poveri, ma ricchi di materie prime, dall’altra metteva in piedi un settore industriale capace di lavorarle e commercializzarle in tutto il mondo. A lungo termine, la strategia della tela del ragno attuata da Pechino si è dimostrata molto più lungimirante della politica delle cannoniere, che rischiano di restare senza colpi da sparare.

Alfredo Luis Somoza -ilmegafono.org