La mattina del 5 luglio 2014, le prime pagine dei quotidiani parlavano di politica e delle consuete polemiche tra il governo, allora guidato da Matteo Renzi, e le opposizioni, dell’ennesimo scandalo corruzione, nello specifico legato al Mose di Venezia, e della morte di Giorgio Faletti, attore, comico, ma soprattutto fenomenale autore e giallista. Quella mattina, un ragazzo di 25 anni, siracusano, caporale dell’esercito in forza al prestigioso reparto dei Lancieri di Montebello, presso la caserma Sabatini di Roma, viveva le sue ultime ore di vita. Si chiamava Antonino Drago, da tutti conosciuto come Tony. Un ragazzone imponente e generoso che, dopo la laurea in Scienze dell’Investigazione, aveva scelto di arruolarsi nell’esercito per inseguire il suo sogno di entrare in un corpo di polizia e impegnarsi nella lotta contro le mafie, per seguire l’esempio dei suoi idoli, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Chissà se quel giorno Tony li ha letti i giornali, senza sapere che quelle sarebbero state le ultime pagine della sua vita, spezzata proprio tra la sera del 5 e la mattina del 6 luglio 2014 per mano di assassini ancora ignoti.

Da quel giorno, Tony Drago ha smesso per sempre di essere un ragazzo che sognava ed è finito al centro di una drammatica vicenda di cronaca e di ingiustizia, ricca di omissioni, errori sospetti, conclusioni affrettate, depistaggi, ritardi strategici. Sono trascorsi dieci anni da quel giorno e sette da quando, dopo una complessa e faticosa ricostruzione tecnico-scientifica, l’allora gip di Roma, Angela Gerardi, accolse la verità emersa dalle perizie, ossia che Tony Drago fosse stato ucciso. Colpito con un corpo contundente (si parla di un badile) alla schiena e poi al cranio, spostato successivamente nel cortile sotto la palazzina alloggi, per inscenare il suo suicidio. Quest’ultima, infatti, è la tesi sostenuta sin da subito dall’esercito, da chi svolse le prime lacunose indagini (i Granatieri di Sardegna, reparto di polizia giudiziaria appartenente all’esercito stesso), dal medico del 118, che si premurò di scrivere subito che si trattava di decesso per precipitazione, e dal medico legale dell’ospedale “Gemelli” di Roma, che compì un esame autoptico pieno di gravi omissioni (non viene indicata l’ora di presunta morte né vengono menzionate le ferite sul corpo e sul cranio di Drago).

Una tesi, quella del suicidio, surreale e incompatibile con tutti gli elementi emersi successivamente dalle perizie scientifiche e dagli approfondimenti di medicina legale. Surreale come il percorso giudiziario e il comportamento tenuto dal pm romano Alberto Galanti, che, tra lentezza e ritardi e continue richieste di archiviazione, non è sembrato mai realmente disposto a spostarsi dalla convinzione che si trattasse di un atto suicida. Alla fine, è questa la posizione che ha prevalso, con l’ultima richiesta di archiviazione curiosamente accolta dal gip nel 2019 (leggi qui). Insomma, sono state ignorate tutte le evidenze, prima fra tutte la distanza del corpo rispetto alla finestra dalla quale il giovane si sarebbe lanciato (impossibile per un essere umano, soprattutto della stazza di Tony). Sono state ignorate le pesanti lacune delle indagini, i ritardi dell’esercito nella consegna degli effetti personali di Tony, tra i quali un computer completamente ripulito, la distanza di tempo (ben sei mesi) con cui le foto dell’autopsia e della Scientifica sono state messe a disposizione della famiglia.

Sono state snobbate, inoltre. sia l’aggressione notturna da parte di alcuni commilitoni subita da Tony un mese prima dell’omicidio sia la duplice violazione della sua casella di posta elettronica il giorno della sua morte. Di questa vicenda, in questi dieci anni, abbiamo parlato tante volte su queste pagine, riportando anche le parole dei familiari e di uno dei legali della famiglia Drago. “Dieci anni – ci dice Valentina, sorella di Tony -, per chi vuole bene a una persona che è stata uccisa, non sono niente. Per noi ogni mattina è sempre il 7 luglio, è sempre come se fosse successo ieri. Perché senza giustizia si rimane intrappolati in un limbo”. Eppure, in questi dieci anni, le verità sono emerse, portando anche a otto indagati, ma non sono bastate evidentemente a partorire giustizia. Come spesso avviene quando ci sono di mezzo le forze militari o di polizia. Soprattutto quando teatro del misfatto è una caserma importante di un reparto prestigioso, quello che, per capire, esegue i picchetti di onore per accogliere i capi di Stato.

Dieci anni che sono stati una sconfitta, non solo per la famiglia che non ha ottenuto giustizia, ma per tutto il Paese, per i suoi corpi militari, per chi non ha il coraggio di difendere il proprio presunto onore con la verità. Così come per il caso ben noto di un altro siracusano, Emanuele Scieri (che sta arrivando a un esito dopo un quarto di secolo con la riapertura del processo dovuta al lavoro certosino di una commissione parlamentare), anche nel caso Drago l’omertà di Stato si è rivelata decisiva. La legge del più forte ha schiacciato la giustizia e ha lasciato i familiari e gli amici del militare dentro quel limbo di cui parla la sorella di Tony, tra il dolore mai sopito, la delusione per un percorso giudiziario ingiusto e la sottile speranza in una svolta. Che però al momento non c’è, non arriva. L’ultima possibilità è rappresentata dal ricorso presentato presso la CEDU (Corte europea dei diritti dell’uomo), che nel 2021 ha chiesto al governo italiano di riferire sull’effettivo tentativo di ricostruire e stabilire le circostanze che hanno portato alla morte di Drago. Insomma, la CEDU vuole sapere se c’è stato un processo equo e teso all’accertamento concreto della verità.

Il governo avrebbe dovuto presentare una memoria entro la fine di gennaio del 2022, ma non è accaduto nulla. E tutto rimane ancora sospeso. Come la vergogna di un Paese che non è capace né di tutelare l’incolumità delle persone che vengono affidate ai reparti del suo esercito, né di garantire la verità e assicurare la necessaria giustizia. Per coprire lo sporco che si nasconde dentro il tessuto apparentemente lindo della divisa, si preferisce depistare, mentire, insabbiare il dolore e la richiesta di giustizia di chi si è visto strappare un figlio, un fratello, un amico, un nipote. È dunque questo il codice d’onore di coloro i quali, tra spot celebrativi, campagne di reclutamento, ospitate televisive, si definiscono custodi di presunti valori e disciplina? E la giustizia? Qual è il codice etico di chi è chiamato a decidere in autonomia e invece finisce per produrre esiti processuali così palesemente ingiusti? E infine lo Stato, e con esso il presidente della Repubblica che è a capo delle forze armate, in che modo può rendere accettabile che un ragazzo di 25 anni venga ucciso dentro una caserma da assassini che rimangono impuniti e che magari oggi indossano ancora una divisa o vivono e lavorano dentro la nostra comunità?

Sono solo alcune delle domande che nascono da questo lungo decennio di ingiustizia e che si aggiungono alle tante, rimaste senza risposta, sulle storture di una indagine e di un procedimento giudiziario non degni di un Paese civile. Concludiamo allora con le parole che, pochi giorni fa, al telefono, Sara Intranuovo, mamma di Tony Drago, ci ha affidato: “La giustizia che noi vogliamo per Tony, è una giustizia che vogliamo per tutti gli altri, affinché non accada più a nessuno quello che è successo a mio figlio o a Emanuele. Se fosse accaduto in un posto pubblico, in una discoteca, in un pub, in un bar, sono certa che le cose sarebbero andate diversamente. Qualcuno avrebbe investigato e si sarebbe arrivati quasi sicuramente ai colpevoli. Invece, trattandosi di un luogo dello Stato, di una caserma, tutto ciò non si è fatto, volutamente. Tony Drago doveva risultare morto per suicidio. Solo grazie alle nostre indagini, ai nostri legali, ai tecnici che hanno svolto un esperimento scientifico usando il trampolino della piscina di Nesima, è stato dimostrato che Tony è stato ucciso. Non sappiamo se da una sola persona o da due o tre, ma sappiamo con certezza che non si è suicidato, perché lui amava profondamente la vita”.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org