Qualche giorno fa è morta Ada Battistini, ultima superstite dell’eccidio nazifascista di Sant’Anna di Stazzema, avvenuto il 12 agosto 1944. Se ne va dunque l’ultima testimone di un feroce crimine di guerra compiuto per pura crudeltà tra la frazione di Stazzema e il paese di Valdicastello, in Toscana, nella quale vivevano dei semplici civili, compresi molti sfollati. Un atto compiuto dalle SS naziste con la collaborazione di fascisti italiani aderenti alla RSI, la Repubblica Sociale Italiana, regime guidato da Mussolini e voluto da Hitler dopo l’8 settembre 1943, con l’obiettivo di continuare a governare i territori italiani e combattere contro chi voleva liberare l’Italia dall’orrore. Un orrore che, a Sant’Anna di Stazzema, segnò la vita di centinaia di persone, massacrate per rappresaglia, per terrorizzare la popolazione, ma anche e soprattutto per colpire i partigiani attraverso una campagna di rastrellamenti indiscriminati e di violenze atroci sui civili.

Furono 560 le vittime a Sant’Anna, tra cui 130 bambini. Qualcuno, come Ada, si salvò solo per l’inatteso sprazzo di umanità che attraversò l’anima di un soldato, al quale era stato assegnato il compito di fucilare un gruppo composto da circa 50 persone e che invece, una volta passati i suoi superiori, sparò con il mitra verso il monte, risparmiando loro la vita, dopo averli invitati ad andare via, come ha raccontato la stessa Ada: “…Ci fecero fermare e ci misero tutti ammucchiati con un giovane, molto giovane, biondo, che non parlò mai, appoggiato di fronte a noi col mitra. E quando furono passati tutti i militari, lui ci fece il cenno con la mano, così, come per dire di stare calmi. Lui non parlò mai. E al posto di sparare a noi, verso di noi, si girò di posizione e sparò su nel monte. C’erano quattro o cinque pecore e ammazzò quelle. E noi si rimase lì”.

Ada Battistini ha conosciuto e raccontato la ferocia perpetrata da nazisti e fascisti a Sant’Anna. Adesso toccherà ai suoi eredi e a tutti noi custodire la sua memoria, a maggior ragione in questo periodo storico. Un periodo nel quale c’è chi ai responsabili di quella violenza inneggia ancora, e non nello scantinato polveroso di una formazione extraparlamentare di estrema destra, non in una combriccola di eversivi, ma dentro il corpo giovanile del partito di maggioranza, del partito della premier, di chi governa questo Paese. L’ultima inchiesta condotta da Fanpage ha messo a nudo, ancora una volta, la matrice fascista di Fratelli d’Italia, ha confermato nuovamente il legame ideale e la continuità ideologica della destra di governo con il regime sanguinario della prima metà del Novecento e l’affezione verso i personaggi del fronte tragicamente violento ed eversivo degli anni ‘70. La dimostrazione che la destra italiana non è mai riuscita a cambiare, a maturare e ad assumere una dimensione più europea e moderna.

La difficoltà nel prendere le distanze dal fascismo, l’infantile ritrosia ad accettare l’antifascismo come elemento fondante della nostra democrazia, le parole raccapriccianti di molti esponenti di partito su terroristi neofascisti e su Mussolini, sono la prova inconfutabile di un cordone ombelicale mai spezzato, ma anzi nutrito con la rabbia di chi per decenni si è trovato ai margini della Storia, trattato meritevolmente da reietto e riemerso per un periodo solo con il fragore delle bombe, del sangue, della violenza. L’esaltazione di terroristi come Fioravanti, Mambro, Delle Chiaie, Ciavardini, i rapporti in essere tra questi e alcuni esponenti di partito, senza che ciò comporti una sanzione o una espulsione dai ranghi (ma in alcuni casi addirittura ruoli importanti), costituiscono un serio problema di affidabilità di chi governa e un rischio grave per la democrazia. Meloni tace o, quando risponde, svia, contrattacca penosamente, non riesce a dimostrare nei fatti la sua presunta dote di leader, non è capace minimamente di fare pulizia, di intervenire con decisione per dare una svolta matura e democratica al suo partito.

Probabilmente, perché in fondo non è quello che vuole, dato che sa benissimo che quel tipo di retroterra è il solo che può sostenere e reggere la sua leadership, perché parla lo stesso linguaggio, ha le sue stesse radici culturali e ideologiche. Giorgia Meloni probabilmente preferirebbe governare senza opposizione, magari per potersi recare all’altare dei suoi antenati ideologici e raccontargli di essere riuscita finalmente a riprendersi l’Italia. E il tutto senza mai tradire, senza mai rinnegare, nemmeno durante il ricordo istituzionale dell’omicidio Matteotti, quando la premier ha affermato che il deputato socialista venne ucciso dallo squadrismo fascista, quasi che l’azione omicida fosse l’opera di qualche gruppetto di esaltati e non fosse invece una scelta che coinvolgeva i vertici del partito, con in testa lo sprezzante Mussolini. Peraltro, nel commemorare Matteotti, la premier ha aggiunto che l’omicidio del parlamentare antifascista “oggi più che mai, ci ricorda che la nostra democrazia è tale se si fonda sul rispetto dell’altro, sul confronto, sulla libertà, non sulla violenza, la sopraffazione, l’intolleranza e l’odio per l’avversario politico”.

Parole che ella dovrebbe rivolgere alla sua maggioranza e a se stessa, visto che, pochi giorni dopo, alcuni deputati di Fratelli d’Italia (e della Lega) sono stati sospesi per aver aggredito il collega dei 5 Stelle, Donno, punito per aver “osato” consegnare un tricolore (simbolo di cui, peraltro, la destra cerca indebitamente di appropriarsi) al ministro Calderoli, alfiere dell’autonomia differenziata. Nessuna parola di condanna circa l’assenza di rispetto, l’intolleranza, la sopraffazione fisica messa in atto dai suoi verso Donno. Anzi, coerentemente con la tradizione squadrista, la destra e la sua premier rovesciano la realtà, equiparando la violenza fisica, i pugni, gli insulti al gesto, al massimo provocatorio ma pacifico, della consegna della bandiera. Fratelli d’Italia, purtroppo, non è la sola forza di maggioranza ad ammiccare al fascismo. Anche la Lega in versione Salvini, infatti, ha completamente frantumato il sentimento antifascista delle origini, rimarcato in alcune occasioni dal fondatore ed ex segretario Umberto Bossi.

La scelta di puntare su un generale ignorante e farneticante, che inneggia alla X Mas, reparto militare che ha infangato l’Italia e che qualcuno (incluso qualche celebre giornalista RAI) vuole presentare come eroico, va nella stessa direzione del partito di Meloni. Vale a dire, riferirsi a quella parte di storia che ha insanguinato il nostro Paese e ha continuato a farlo anche ad anni di distanza dalla nascita della Repubblica. Basta un nome per collegare tutto: Junio Valerio Borghese. Comandante della X Mas, Borghese aderì alla RSI, ossia al regime collaborazionista, a quel sistema fascista che agì accanto ai nazisti contro l’Italia e gli italiani e che partecipò a eccidi come quello di Sant’Anna di Stazzema. Lo stesso Borghese che, negli anni ‘70, fu contiguo a quel putrido miscuglio di eversione neofascista e crimine organizzato che seminò terrore e morte e tentò perfino di mettere in atto un colpo di Stato. Ecco a chi si richiamano oggi Vannacci e i deputati della Lega, ecco il mondo al quale i giovani fascisti di Gioventù Nazionale mostrati da Fanpage dedicano parole dolci ed entusiaste, tra un “Sieg Heil” e un saluto romano.

Quella gioventù fascista che Giorgia Meloni difende e coccola e che Italo Bocchino, giornalista con tesserino ma senza imparzialità, ha avuto l’ardire di definire “meravigliosa”. Perché se c’è una cosa che i fascisti di qualsiasi epoca non hanno mai avuto è il coraggio. Né nel sostenere apertamente le proprie idee, né nella battaglia, né nell’azione politica. L’immagine di forza che vogliono darsi si sbriciola sempre di fronte alla loro realtà storica, ricca di codardia e di sconfitte. Un po’ come il loro patriottismo, che è solo un’idea utile per qualche slogan, ma che precipita drasticamente nell’analisi della storia italiana e nei fatti che racconta, come quello della RSI o dell’eversione terroristica. La Storia, da tempo, ha messo al bando il fascismo, oggi però c’è chi vuole riscriverla, oltraggiando la verità e la memoria. Come quella che Ada Battistini ha voluto raccontare e difendere fino all’ultimo giorno della sua vita.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org