Era il 23 marzo 1919 e nella sala del Circolo dell’Alleanza Industriale e Commerciale di Milano, in Piazza San Sepolcro, Benito Mussolini fondava i “Fasci di combattimento”, allo scopo di “porre in valore la vittoria italiana e propugnare gli ideali nazionali”. A farne parte erano soprattutto ex-combattenti e uomini provenienti dall’area politica nazionalista, a cui si aggiunsero esponenti del movimento Futurista di Filippo Tommaso Marinetti. Il vero volto dei Fasci di combattimento emerse chiaramente il 15 aprile dello stesso anno, quando la sede milanese dell’Avanti! venne assaltata e distrutta dagli squadristi. Le fondamenta del fascismo erano state poste e in occasione del terzo congresso dei Fasci, quando il movimento contava oltre 300mila iscritti, venne deciso lo scioglimento per dare vita al Partito Nazionale Fascista. Era il 9 novembre 1921 e, a partire da quel giorno, la storia dell’Italia e dell’Europa è cambiata ed è scritta con l’inchiostro più nero.

Con quella storia l’Italia non ha mai fatto i conti fino in fondo, la pagina fascista non è mai stata chiusa. I limiti dell’amnistia di Palmiro Togliatti, ministro della Giustizia del primo governo De Gasperi del 1946, consentirono ad una magistratura di giudici la cui carriera si era formata negli anni del ventennio fascista di permettere a tanti gerarchi fascisti di uscire indenni dalla loro storia. Alcuni nomi: Giorgio Almirante (segretario di redazione dal settembre 1938 della rivista “La Difesa della Razza”, promulgatore e firmatario nel 1938 delle Leggi Razziali in Italia), Pino Romualdi (vicesegretario del Partito Fascista della Repubblica di Salò) e Arturo Michelini (vice federale di Roma).

Perché ricordare oggi questi nomi? Perché il 26 dicembre 1946 nasceva il Movimento Sociale Italiano (MSI) e fra i suoi fondatori troviamo proprio quei reduci del ventennio fascista e della Repubblica Sociale Italiana, come appunto Almirante, Romualdi e Michelini. Il motto tradizionale di Giorgio Almirante e del suo partito era: non restaurare, non rinnegare. È da quella storia che sono nati altri eredi e gli ultimi sono oggi il primo partito in Italia e guidano il governo del Paese: sono i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che commemora con fredda ipocrisia Giacomo Matteotti in occasione del centesimo anniversario del suo assassinio: “Uomo libero e coraggioso ucciso da squadristi per le sue idee”. Non il regime fascista di Mussolini, dunque, ma singoli squadristi. Lezione di Almirante recepita. 

La storia della destra estrema italiana è intrisa nella violenza, a partire da quel 15 aprile 1919. Ed è una violenza non solo politica. Il rapporto fra la criminalità, comune e/o organizzata, e la galassia fascista è scritto nella storia e nelle inchieste che dagli anni ‘60 ad oggi hanno alzato il tappeto sotto cui si nasconde la polvere. L’estate del 1970 è segnata dalle barricate di Reggio Calabria, la rivolta del “Boia chi molla”. Uomo simbolo della rivolta è un sindacalista neofascista della CISNAL: Francesco Franco, meglio conosciuto come Ciccio. Alle elezioni politiche del 1972 si candiderà al Senato per MSI-DN e sarà eletto, così come nelle quattro legislature successive, Qualcuno la definì una rivolta “proletaria”, per rivendicare il diritto di Reggio ad essere il capoluogo della regione Calabria, contro Catanzaro, ma il sottobosco che si muoveva attorno e dietro quelle barricate aveva volti noti alla destra: da quella istituzionale del partito di Almirante a quella che rispondeva ad Avanguardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie, a Ordine Nuovo di Pino Rauti e al Fronte nazionale di Junio Valerio Borghese.

Nomi e sigle che hanno avuto un ruolo tragico nella storia della Repubblica. Quella rivolta, per molti osservatori, sarà anche il laboratorio dei rapporti tra destra eversiva e la ‘ndrangheta. Sono gli anni della “Strategia della tensione”, dove i legami fra la destra eversiva e i vertici deviati delle istituzioni sono protagonisti della stagione delle stragi di Stato. Da una stagione all’altra, il tempo evidenzia le relazioni fra gli ambienti dell’estrema destra e la criminalità: nel 1998, la Procura di Palermo iscrive nel registro degli indagati Stefano delle Chiaie, fondatore di Avanguardia Nazionale e collaboratore di Pinochet in Cile, con l’accusa di aver “costituito, organizzato, diretto e/o partecipato ad un’associazione criminale promossa e costituita in Palermo anche da esponenti di vertice di cosa nostra, ed avente ad oggetto il compimento di atti di violenza con fini di eversione dell’ordine costituzionale”.

Si arriva a tempi più recenti. Ad Ostia vive e comanda il clan Spada che, come definito da una sentenza della prima corte d’Assise d’Appello di Roma il 24 settembre del 2019, è un’associazione per delinquere di tipo mafioso. Il suo è un ruolo di primo piano nel controllo del territorio, nella gestione delle case popolari, nello spaccio di droga e nel controllo delle attività commerciali. Nell’autunno del 2011 il giornalista Daniel Piervincenzi, inviato del programma Rai “Nemo, Nessuno Escluso”, è aggredito da Roberto Spada davanti alla palestra gestita dallo stesso malavitoso mentre faceva domande sui rapporti fra CasaPound e la famiglia Spada. Nei giorni precedenti le elezioni, il clan Spada aveva apertamente dichiarato il proprio sostegno al movimento fascista, un sostegno e un legame mai negati. A Roma certi legami scottano e da Forza Nuova, il partito dell’estrema destra fondato da Roberto Fiore, si arriva fino a Massimo Carminati, personaggio a capo di Mafia Capitale.

Arriviamo ai giorni nostri. In Calabria, spicca la vicenda del capogruppo di Fratelli d’Italia, Giuseppe Neri, indagato per voto di scambio e per i rapporti con esponenti del clan Araniti. In una telefonata, si lasciava andare a minacce verso la giornalista Alessia Candito, rea di indagare sugli affari oscuri del potere in Calabria. Infine, un’altra vicenda eclatante finita sulle cronache: pochi giorni prima delle ultime elezioni europee, esplode il caso di Paolo Signorelli, il capo dell’ufficio stampa del ministro Francesco Lollobrigida: il quotidiano “La Repubblica” pubblica i testi di alcune chat fra Signorelli e Fabrizio Piscitelli, detto “Diabolik”, figura di spicco della malavita romana e del traffico di droga nella capitale e leader degli “Irriducibili”, gruppo ultras della Lazio. Piscitelli è stato ucciso a Roma il 7 agosto 2019. Le chat sono una carrellata di insulti antisemiti e di elogi ai terroristi neri Valerio Fioravanti, Pierluigi Concutelli, Luigi Ciavardini e Mario Tuti. Al momento Signorelli si è autosospeso dal suo ruolo, ma il gesto sembra soprattutto una formula ambigua con cui si aspetta che il passare del tempo attenui la tempesta in modo da poter poi riprendere il proprio posto.

Al silenzio del partito di governo e della premier che guida il Paese si unisce incredibilmente anche il silenzio di chi, da mesi, accusa di antisemitismo chiunque si esprima contro le politiche del governo d’Israele a Gaza. Nessun commento indignato di fronte al fatto che il portavoce di un ministro si lasci andare a pesanti offese sugli ebrei e mostri le sue orribili convinzioni ideologiche. Un ultimo appunto: Paolo Signorelli porta lo stesso nome del nonno, ideologo dell’estrema destra romana e tra i fondatori di Ordine Nuovo. C’è un secondo profilo della destra fascista che si aggiunge ai saluti romani, agli appelli alla presenza nei raduni di Acca Larentia, di Salò o di Predappio, un profilo che viene taciuto o minimizzato da un’informazione compiacente e asservita: è il profilo in cui  ideologia fascista e criminalità – quella comune e quella organizzata – si incontrano e si sostengono a vicenda. 

Gli anni hanno segnato un cambio generazionale nei vertici della destra, sono cambiati i nomi delle persone e dei partiti: dalle ceneri del fascismo è nato il Movimento Sociale di Giorgio Almirante, che ha passato poi il testimone ad Alleanza Nazionale, che a sua volta lo ha lasciato a Fratelli d’Italia. Intanto, confusi nella galassia più estrema, Avanguardia Nazionale, Ordine Nuovo, Forza Nuova e CasaPound hanno agito parallelamente, facendo il “lavoro sporco” nelle piazze, nei quartieri dove abitava e abita il malcontento, dove il terreno è fertile e la criminalità comanda. “Legge e Ordine” è il vecchio motto. Ma più che ordine si assiste a una pericolosa e preoccupante confusione. In fondo a destra, è cambiato poco o nulla.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org