“Un sogno che si realizza”. Esordisce con queste parole Dario Riccobono, storico volto di Addiopizzo, fondatore della cooperativa sociale Addiopizzo Travel e dell’associazione No Mafia Ets, sentito al telefono dal Megafono per commentare la nascita a Capaci del MuST23, il Museo Stazione 23 maggio, un progetto promosso da Addiopizzo Travel e dall’associazione Capaci No Mafia. Un nuovo spazio culturale interattivo e multimediale, un luogo di memoria e di crescita civile, ma anche di costruzione di una comunità che possa respirare un’aria nuova, diversa, partendo dalla storia che l’ha inevitabilmente segnata per raccontare anche il presente e il futuro, un futuro diverso.
“MuST23 – afferma Riccobono – sarà un museo che, partendo dalla strage di Capaci, vuole raccontare 32 anni di lotta alla mafia, ma vuole raccontare anche un territorio che, nel tempo, è cresciuto, è cambiato, ha lottato”. Un territorio che, oltre la tragedia che si è consumata, è in grado di raccontare anche tanta bellezza. Come ci narra Dario Riccobono, “Capaci per il mondo è il nome di una strage, è un pezzo di autostrada saltata per aria, ma noi vogliamo rendere onore a quel territorio e a quella comunità, mostrando tutto ciò che di bello è stato costruito negli anni. Partendo dalla strage, ripercorreremo 32 anni di lotta, raccontando una storia che non si è ancora chiusa, poiché sulla strage di Capaci ci sono una verità e una giustizia negate. Il MuST23 vuole anche far conoscere queste anomalie riscontrate sulle versioni ufficiali”.
Questo nuovo spazio, dunque, si prefigge lo scopo di onorare chi ha perso la vita quel 23 maggio 1992 e di farlo esercitando memoria, ma anche costruendo partecipazione e senso di comunità. Come sottolinea il fondatore di Addiopizzo Travel, il MuST23 sarà anche e soprattutto uno spazio culturale, qualcosa che va oltre un museo: “A Capaci non c’è un cinema, non c’è un teatro, non c’è un centro di aggregazione giovanile, e allora MuST23 avrà l’ambizione di diventare tutto questo, uno spazio al servizio della comunità, un luogo dove si possa fare cultura e si possano creare relazioni tra chi vive il territorio ogni giorno e chi viene da fuori e ha una certa percezione di questo territorio”. “L’obiettivo finale – continua Riccobono – è quello di creare anche una cooperativa di comunità, cercando di coinvolgere tutti gli attori che si muovono dentro la comunità stessa, allo scopo di crescere tutti insieme”.
Il museo sarà ospitato negli spazi dell’ex stazione di Capaci, concessa in comodato d’uso gratuito da RFI. L’area, in disuso da anni, contiene l’ex scalo merci (un ampio piazzale in cui sono stati allestiti diversi container che saranno le stanze in cui immergersi nell’esperienza museale) e l’ex fabbricato viaggiatori (una palazzina su due livelli, di fine Ottocento, che si punta successivamente a ristrutturare e recuperare). MuST23 è dunque anche un progetto di rigenerazione urbana, che ha l’obiettivo di offrire uno spazio sostenibile, vivibile e attraente sia per i residenti che per i visitatori. Il 22 maggio 2024 questo spazio verrà inaugurato e porterà alla memoria viva la carneficina che uccise il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Grazie allo sviluppo di contenuti in realtà virtuale e aumentata e ai materiali audiovisivi d’archivio forniti dalla RAI, tramite visori e proiettori sarà possibile immergersi nella memoria di quel giorno, rivivendolo in prima persone, trovandosi davanti quello scenario.
Un’esperienza formativa, sensoriale ed emotiva che, come spiega Dario Riccobono, “punta a colpire l’attenzione delle generazioni più giovani e spingere all’impegno”. La strage di Capaci ha segnato un prima e un dopo per la storia del nostro Paese, ma ancora di più per un’intera generazione di giovani siciliani e siciliane: per l’immenso dolore che ne è scaturito, per il senso di rabbia e smarrimento, ma anche per la sua capacità di innescare una ripartenza e avviare piano piano una cultura della legalità e di lotta contro le mafie. “Avevo tredici anni quando avvenne la strage – racconta l’attivista di Addiopizzo – e dopo l’esplosione mi recai in quel luogo, vedendo ciò che rimaneva dell’autostrada. Ho vissuto quell’emozione forte che ha segnato la mia generazione. Addiopizzo nacque parecchi anni dopo e nacque perché quei ragazzi che avevano vissuto quelle ferite avevano bisogno di dire basta, capendo che essere semplicemente delle persone oneste non sarebbe stato più sufficiente”.
Ognuno di noi si ricorda, come capita per i momenti decisivi della propria vita, cosa stesse facendo quel giorno e a quell’ora. Ogni siciliano, ogni siciliana ricordano la sensazione provata, quella stretta al petto, quella fame d’aria e quel pensiero assillante e carico di dolore che ci fece sussurrare: “e ora che facciamo?”. Ciascuno di noi ricorda perfettamente quella sofferenza, quella pena, quella tristezza, quella disperazione, quel senso di assoluta desolazione. Ogni bambino o bambina, ragazzo o ragazza di quella generazione ricorda anche un’altra frase che partì dal cuore e arrivò alla testa: “Adesso basta!”. Da quel preciso momento, si fece strada l’idea della ripartenza, della rinascita, che il 19 luglio 1992, giorno della strage di via D’Amelio, divenne ancora più forte e dolorosamente prepotente.
Questo museo, che attraverso foto e filmati racconterà anche la carriera e le intuizioni di Giovanni Falcone, gli ostacoli incontrati, i suoi nemici e detrattori, non sarà il punto di arrivo di quel cammino cominciato nel 1992, ma l’inizio di un nuovo periodo di lotta per la legalità, per la giustizia, per la cultura, per rendere proattivamente onore al giudice Giovanni Falcone e alle altre vittime di quella terribile strage.
Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org
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