“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro…”. La storia di questo Paese racconta una verità diversa, che umilia l’Articolo 1 della Costituzione. C’è quel numero che cresce, ogni giorno ed ogni anno: è la conta dei morti sul lavoro, delle vite strappate. Nomi, storie che il Paese dimentica in fretta e che non disturbano il sonno dei tanti padroni delle vite degli altri: qualche frase di circostanza delle istituzioni, una corona di fiori e qualche minuto in coda ai Tg della sera. Poi tutto torna nel silenzio, nel vortice complice e colpevole di mille leggi, decreti e cavilli che cancellano la dignità del lavoro e individuano tante responsabilità. Così tante che una chiama l’altra, perché alla fine la “razza padrona” riesce sempre a scaricare su altri soggetti le proprie responsabilità. L’ultima tappa, in un ordine di tempo che si aggiorna quotidianamente, è Casteldaccia, in provincia di Palermo. Altre cinque storie interrotte: si chiamavano Epifanio, Giuseppe e Giuseppe, Roberto e Ignazio. I loro nomi si aggiungono alla lista, accanto ai nomi già scritti a Bologna, Firenze, Brandizzo, e prima ancora tante altre storie, simili a quella di una maledetta notte di dicembre a Torino.
Carlo Soricelli è un metalmeccanico in pensione e un artista, pittore e scultore di opere a contenuto sociale. Il rogo della ThyssenKrupp di Torino, nel dicembre del 2007, ha segnato una svolta nella sua vita: allora decide che qualcosa deve cambiare e che bisogna farlo subito, e così nel 2008, fonda l’Osservatorio Indipendente di Bologna Morti sul Lavoro. “Ho iniziato a monitorare le morti sul lavoro -raccontava nel 2014 in una intervista – dall’inizio del 2008, dopo la tragedia della ThyssenKrupp di Torino e dopo che, cercando in internet delle notizie sulle statistiche dei morti sul lavoro, non ne avevo trovate di aggiornate. Le più recenti erano quelle dell’Inail, vecchie di mesi. Mi sono chiesto come fosse possibile, con la tecnologia attuale, non tenere aggiornato il monitoraggio delle statistiche delle notizie sugli infortuni sul lavoro. Allora, con mio figlio, ho cominciato”.
I dati censiti nello straordinario archivio di Carlo sono impressionanti: oltre 20mila nomi, che significa tre lavoratori al giorno, uno più uno meno. Dal 2021, il numero di incidenti mortali sul lavoro in Italia è aumentato del 30%, in particolare nel settore edile, come confermano i dati di FILLEA CGIL, il comparto edile del sindacato. Dati che spiegano bene come la carenza di personale comporti giornate lavorative più lunghe, l’impiego di personale improvvisato, di età avanzata e spesso in nero. Il tutto nella quasi totale assenza di norme di sicurezza. Sono ancora i dati a raccontare la differenza fra le imprese edili italiane e quelle di altri Paesi d’Europa: “Nel 2021 la media era di 2,6 addetti a impresa in Italia, contro una media europea di 7”. Poi ci sarebbe il problema dei controlli sulle imprese: secondo un rapporto del Ministero del Lavoro del 2020, un’azienda edile riceve un controllo in cantiere mediamente una volta ogni sei anni.
Ma è tutto il mondo del lavoro a essere sotto accusa, lasciato nelle mani di chi progressivamente ha cancellato diritti conquistati un metro alla volta dopo anni di lotte e sacrifici. È l’intero comparto produttivo di questo Paese che ci racconta in quante scatole cinesi si nasconde la “razza padrona” e in quanti rivoli, contrattuali e legislativi, viene dispersa e annullata l’essenza dei lavoratori in ogni settore: edile, industria, logistica…non fa differenza. Alla ragnatela di contratti assurdi e di leggi che rendono il mondo del lavoro la palude dove affonda il diritto, si aggiunge la montagna da scalare quando si tratta di chiedere e ottenere giustizia: tempi di risposta lunghissimi, norme che raramente vengono applicate, sentenze che non rendono giustizia. L’ultima sentenza di tribunale, in termini di tempo, riguarda la morte orrenda di Luana D’Orazio nella fabbrica tessile di Montemurlo (Prato): 17 pagine che confermano la manomissione volontaria e consapevole del macchinario che ha ucciso Luana – per ottenere un aumento produttivo dell’8% – ma che, a fronte del patteggiamento richiesto dai titolari dell’azienda, ha comportato pene ridotte fino a un massimo di due anni. Luana ne aveva 22, ed è morta per un 8% di produzione in più.
Sono passati più di cinquant’anni dalla straordinaria stagione delle grandi lotte operaie, quelle che un passo alla volta hanno conquistato diritti che ieri erano negati e che oggi vengono cancellati. Era la stagione passata alla storia di questo Paese come quella dell’Autunno caldo: anno 1969, le grandi lotte di quella classe operaia cambiavano il quadro sociale e politico del Paese, portando quella ventata di riscatto di cui l’Italia aveva un grande bisogno. La fine di quell’autunno portò la “Costituzione nelle fabbriche”. Era l’11 dicembre 1969, il giorno prima della strage fascista di Piazza Fontana a Milano. Votarono a favore i partiti di centro-sinistra e i liberali. Si astennero – con opposte motivazioni – i fascisti del Movimento Sociale Italiano, il PCI, il PSIUP e Sinistra Indipendente. Qualche mese più tardi, il 20 maggio del 1970, la Legge 300 venne pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana e diventò legge dello Stato. Era lo Statuto del Lavoratori.
Oggi quello Statuto costato fatica e lotte durissime non esiste più e, insieme ad altre conquiste, è stato restituito in gran parte alla “razza padrona”. Se la classe operaia oggi è in gran parte dimenticata e abbandonata al proprio destino, le firme su questo atto di resa sono davvero tante. Ci sono anche quelle di chi ha costruito compromessi sui castelli di sabbia, inseguendo consensi politici che non fanno parte della storia del mondo del lavoro e cedendo, un giorno dopo l’altro, diritti e conquiste. Chi ricorda la spregiudicatezza e il calcolo, politico e sociale, di chi ha voluto con tutte le sue forze la rottamazione dello Statuto dei Lavoratori e la battaglia contro l’articolo 18? Nel settembre 2014 l’allora leader del Partito Democratico, Matteo Renzi, liquidava la minoranza del suo partito e le opposizioni dei lavoratori con una celebre intervista nella quale diceva: “Va cambiato tutto lo Statuto dei lavoratori, è stato pensato 44 anni fa. Sarebbe come inserire un rullino in una macchina fotografica digitale”.
Su Matteo Renzi, e sul PD, ricade come un macigno della storia l’introduzione di quel “Jobs Act” diventato il tappeto sotto il quale nascondere il mondo del lavoro rottamato e ridotto in polvere, un momento rivendicato dallo stesso Renzi come “un giorno atteso da molti anni, un giorno atteso da una generazione, un giorno nel quale noi rottamiamo e superiamo un certo modello di diritto del lavoro. Allo stesso tempo superiamo l’articolo 18”. L’Italia è un Paese strano, talmente strano che l’obiettivo inseguito per anni dai padroni e dalla destra italiana è stato realizzato dal principale partito del centro-sinistra. Una volta realizzato il sogno degli imprenditori si è proseguito su quella strada, costruendo tutta la ragnatela di supporto: leggi, decreti, una giungla di contratti di lavoro sempre più complicati e persi in un mare di tipologie, un abuso vergognoso dei contratti a termine, salari sempre più poveri. Tutto quello che è servito per isolare, dividere e mettere all’angolo i lavoratori è stato messo in atto.
Ognuno dei governi alla guida del Paese nell’ultimo ventennio ha portato il suo pessimo contributo nel peggiorare le condizioni dei lavoratori e, se tutto questo fa parte del naturale DNA di imprenditori e padroni, non si possono dimenticare le ferite e le lacerazioni che invece sono arrivate da quell’universo che ha le sue radici nel mondo del lavoro. In questa palude di fango e indifferenza, l’ultimo mattone è quello della (in)sicurezza, perché la sicurezza del lavoro incide sulla produttività, sui tempi, sui margini e sui profitti. La classe operaia esiste ancora, asciuga gli occhi e conta i suoi morti, perché di lavoro e sul lavoro si muore. La razza padrona le chiama sempre “morti bianche”, ma sono vite schiacciate da mille leggi assurde e colpevoli di chi costruisce il proprio castello sulla fatica e sul sangue dei lavoratori. Di bianco c’è solo il lenzuolo che copre gli occhi della vita che scappa, nel silenzio e nell’ipocrisia dello Stato.
Maurizio Anelli -ilmegafono.org
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