La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza civile che ha riconosciuto in favore di Legambiente il danno in quanto parte civile nel processo penale a carico dell’ex ILVA per il reato di getto pericoloso di cose connesso alle emissioni di sostanze varie dell’area a caldo dello stabilimento di Taranto. Accogliendo la difesa di Legambiente, la Cassazione ha dunque rigettato il ricorso proposto da Fabio Riva, nella qualità di erede di Emilio Riva, patron di Ilva spa, e Luigi Capogrosso, ex direttore dello stabilimento tarantino, contro la sentenza della Corte di Appello di Lecce, che aveva confermato la sentenza di primo grado del tribunale di Taranto.

Con una conferenza stampa svoltasi nella propria sede, alla quale hanno partecipato attivisti e volontari impegnati da anni a salvaguardare il territorio, il circolo di Legambiente Taranto ha annunciato quanto deciso dalla Suprema Corte. L’acciaieria pugliese è da decenni al centro di un vasto e ampio dibattito per il suo pericoloso impatto ambientale. Le sue emissioni sono state oggetto di diversi processi penali per inquinamento che si sono conclusi, in alcuni casi e gradi di giudizio, con la condanna di Emilio Riva e di alcuni dirigenti. L’inquinamento dell’ILVA ha causato danni all’ambiente e alla salute dei cittadini. Legambiente si è da sempre fatta portavoce delle proteste di chi a Taranto e nelle immediate vicinanze dell’acciaieria vive. Vive e si ammala. Si ammala e muore di cancro e di altre malattie legate alle emissioni delle acciaierie.

L’amianto e le altre sostanze tossico-nocive hanno causato l’insorgenza di mesotelioma, tumore del polmone e altre patologie. Il quartiere Tamburi è quello più colpito. Tumori, malformazioni nei feti e ictus le malattie più diffuse. I morti e i malati non si contano, così come le lacrime di chi non vuole perdere il lavoro e assiste impotente e arrabbiato a questo scempio. La decisione della Cassazione dà ragione a chi si batte contro la devastazione prodotta dalle acciaierie. Il presidente dell’associazione ambientalista della sede di Taranto, Lunetta Franco spiega, con soddisfazione, che la sentenza conferma ancora una volta l’impegno di Legambiente e di tutti i volontari a tutela del territorio, nell’ambito della città di Taranto “con particolare riferimento alle problematiche poste dalle emissioni di sostanze inquinanti dello stabilimento ex Ilva”.

I reati commessi da Emilio Riva e da Capogrosso – secondo le sentenze – hanno offeso l’integrità del territorio sotto l’aspetto della vivibilità ambientale. L’emissione dallo stabilimento Ilva di grossi quantitativi di polveri ed altre sostanze verso i quartieri cittadini limitrofi (Tamburi in particolare), oltre ad offendere e a far ammalare le persone, oltre ad aver danneggiato gli arredi urbani e gli edifici pubblici e privati, hanno offuscato l’attività del mondo ambientalista, quello di Legambiente in modo particolare, che utilizzerà il risarcimento di 30.000 euro per investire in formazione, in iniziative sul territorio in modo che le attività di studio, denuncia e proposte possano contribuire al consolidamento di una cultura ambientalista capace di premiare e valorizzare lo studio delle tematiche ambientali, come ha riferito la direttrice regionale di Legambiente Puglia, Daniela Salzedo. Particolare attenzione sarà riservata ai più giovani, alle nuove generazioni, con un programma educativo di ampio respiro.

La storia dell’ex Ilva è lunga e articolata. Da decenni è al centro di un vasto e ampio dibattito per il suo pericoloso impatto ambientale. A tal proposito, è dello scorso mese la presentazione, sempre da parte di Legambiente, di un video reportage, della durata di 18 minuti, intitolato “Taranto dopo il carbone”. Il reportage racconta in che direzione si stanno muovendo gli altri paesi e i colossi internazionali per abbattere le emissioni nei prossimi anni. Il docufilm prova a comprendere se la decarbonizzazione degli impianti, attraverso le nuove tecnologie, possa applicarsi anche all’ex Ilva di Taranto, ancora alimentata a carbone. L’acciaio verde potrebbe, ad esempio, essere una soluzione: lo realizzano a sud di Stoccolma usando idrogeno verde invece che carbone. Il 2024, se solo si volesse, potrebbe essere l’anno della svolta, anche e soprattutto per la salute di chi vive nella città ionica.

Se lo scrittore e filosofo francese Fabrice Hadjadj scrive, quasi provocatoriamente ma non troppo, che “la crisi dell’ambiente non è un problema di carattere materiale ma spirituale”, possiamo tranquillamente affermare che il crimine dell’inquinamento, che coinvolge tutte le specie viventi, dagli animali alle piante, all’acqua, all’aria, è un problema ben più grave del crimine dell’omicidio. Questa idea, tutti coloro che fanno impresa solo ed esclusivamente per interesse economico personale e/o familiare, dovrebbero tenerla bene a mente.

Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org