“Nonostante la ristrutturazione dei clan, per numero di affiliati la camorra è l’organizzazione criminale più corposa d’Europa. Per ogni affiliato siciliano ce ne sono cinque campani, per ogni ‘ndranghetista addirittura otto. Il triplo, il quadruplo delle altre organizzazioni. I clan non hanno più necessità di un controllo capillare militarizzato, o quantomeno non ne hanno sempre bisogno. Gli affari principali dei camorristi avvengono fuori Napoli”. Sono le profetiche parole di Roberto Saviano che trovano conferma anche in un’inchiesta del Corriere della Sera, in cui si denunciano gli affari della camorra nella ristorazione milanese. In che modo? Facendosi carico dei debiti di ristoranti e pizzerie senza entrare nell’organigramma societario.
Alcuni clan camorristici, come i D’Amico di Ponticelli, hanno pianificato come ripianare le perdite dei locali milanesi o, addirittura, come aprirne di nuovi. Obiettivo dei clan è quello di non comparire in nessun documento, lasciando i vecchi titolari o sostituendoli con dei prestanome incensurati. In questo modo, spiega il giornalista Andrea Galli del Corriere della Sera, il possesso di locali (non formalmente ma nella sostanza) aumenta la possibilità che questi possano essere e/o diventare luoghi per il riciclaggio di denaro sporco, indirizzato, nel caso specifico, vista la presenza del clan D’Amico, verso il traffico di droga. I D’Amico, da decenni, sono infatti “specializzati” nel traffico di sostanze stupefacenti, armi ed esplosivi, estorsione e impiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche.
Negli anni ‘80 si erano “occupati” della gestione dei fondi per la ricostruzione di aree popolari, arruolando tra gli affiliati dei professionisti che lavoravano con i soldi quotidianamente: dai notai ai commercialisti, dagli imprenditori ai dirigenti di filiali di banca. Dopo aver conquistato Roma, i camorristi sono arrivati da qualche tempo a Milano, dove i locali nascono come funghi nelle principali strade della movida. Essenziale, è evidente, la complicità dei proprietari dei ristoranti che, invece di denunciare la situazione di difficoltà, si alleano ai camorristi per trarne vantaggio, restandone poi ostaggio.
L’omertà attribuita ai meridionali dall’uomo medio del nostro Settentrione fino a una trentina di anni fa, mista al tornaconto personale, sembrano prevalere sulla morale e sulle leggi. Così la camorra diventa sempre più imprenditoriale e non solo a Milano. Certamente la capitale finanziaria del nostro Paese è un punto nevralgico per le organizzazioni criminali. Tutti allo stesso tavolo: camorra, ‘ndrangheta e cosa nostra insieme per fare affari. Si parla di un vero e proprio “sistema mafioso lombardo”, che gestisce risorse finanziarie, relazionali ed operative per aumentare i profitti. Tutto questo accade nel silenzio di un governo che non finge nemmeno di combattere le mafie, omertoso come chi, in difficoltà o minacciato, non denuncia. D’altra parte, come afferma Roberto Saviano, “esistono due forme di omertà: quella di chi sa e non parla e quella di chi non vuole sapere”.
Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org
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