Attività illegali di import-export, commercio di beni contraffatti e traffico di stupefacenti: sono alcune delle principali attività illegali che sono state rilevate in 54 porti italiani tra il 2006 e il 2022. Secondo il rapporto di Libera “Diario di Bordo. Storie, dati e meccanismi delle proiezioni criminali nei porti italiani”, solo nel 2022 sono stati registrati 140 casi di criminalità, uno ogni tre giorni, in 29 porti, di cui 23 di rilievo nazionale. Il maggior numero di casi di criminalità sono stati individuati nel porto di Ancona (15 casi), seguono il porto di Genova, con 14 casi, e quelli di Napoli e Palermo con 11. Dei 140 casi, l’85,7% riguarda attività illegali di importazione di merce o prodotti, il 7,9% riguarda attività illegali di esportazione di merce o di prodotti, il 2,9% riguarda sequestri di merce in transito, mentre il resto dei casi è relativo ad altri fenomeni illeciti non classificabili.

Analizzando le attività portate avanti dagli attori criminali, emerge che solo una minima parte riguarda la proiezione nell’economia legale del porto, mentre in 136 casi si tratta di attività illecite. I porti, scrive Libera, sono “cosa nostra”. “Analizzando le relazioni della Direzione Nazionale Antimafia e della Direzione Investigativa Antimafia, pubblicate tra il 2006 e il 2022”, risulta infatti che “più di un porto italiano su sette è stato oggetto degli interessi della criminalità organizzata”. Nei 54 porti italiani che sono stati oggetto di proiezioni criminali, almeno 66 clan sono stati coinvolti in attività di business illegali e legali. Tra di essi, spiccano le tradizionali mafie italiane: ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra. Compaiono, però, anche altre organizzazioni criminali di origine italiana: banda della Magliana, Sacra Corona Unita e gruppi criminali baresi.

Si trovano, inoltre, le proiezioni di diversi gruppi di cui viene indicata esclusivamente la provenienza geografica (o per dove svolgono le principali attività o per l’origine territoriale dei membri) come asiatici, gruppi criminali dell’Est Europa, del Nord Africa oppure, precisando la nazione di provenienza, Albania, Cina, Messico e Nigeria. Su 66 clan ben 41 sono gruppi di ‘ndrangheta che operano in diversi mercati illeciti: traffico di rifiuti, traffico di armi, contrabbando di sigarette e TLE, traffico di prodotti contraffatti, estorsioni e usura, e soprattutto traffico di stupefacenti.

I porti, dunque, rappresentano per i gruppi criminali un’opportunità per incrementare i propri profitti e per rafforzare collusioni. Un quadro preoccupante che vede sempre più ramificate le infiltrazioni dei clan nelle attività legali e su cui ““il dibattito politico sembra ancora troppo timido”, sottolinea l’associazione antimafia, la quale aggiunge che “il rafforzamento del coordinamento tra autorità giudiziaria, forze dell’ordine, autorità pubbliche presenti nel porto e imprese private che lì operano sembra essere una delle principali esigenze su cui intervenire, non solo in ottica repressiva, ma, soprattutto, preventiva”. Serve pertanto “una maggiore consapevolezza da parte degli attori che operano in ambito portuale – pubblici e privati – dei rischi criminali e corruttivi che caratterizzano la vita degli scali”, in modo da scoraggiare scambi illeciti e sviluppare politiche sane di gestione di queste fondamentali infrastrutture marittime.

Redazione -ilmegafono.org