Cos’è un’associazione a delinquere di stampo mafioso e cosa non lo è? Come facciamo a stabilire se un’organizzazione criminale organizzata puzza di mafia o di semplice criminalità? È la domanda che alcune regioni del nord del nostro Paese, dopo anni di occhi e bocche chiuse (perché, opinione abbastanza diffusa, la mafia al Nord non esisteva e non poteva radicarsi), si pongono in merito alle infiltrazioni nel tessuto economico, sociale, politico e culturale delle organizzazioni mafiose in città e paesi. Secondo il nostro codice penale, un’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici.
Il 3 novembre scorso, nella Sala Consiliare del Comune di Buccinasco (Milano), si è svolto un incontro pubblico dal titolo “Legalità e mafia al nord: a che punto è arrivata la linea della palma?”, organizzato dalla eurodeputata Maria Angela Danzì. Quando il titolo dell’incontro cita la linea della palma, si fa un chiaro riferimento alle parole dello scrittore Leonardo Sciascia, che già quarant’anni fa profetizzava il cammino della mafia verso Nord, asserendo che sarebbe salita “su su per l’Italia, ed è già oltre Roma”. L’ultimo report sulla presenza mafiosa in Lombardia, ad esempio, redatto dalla Commissione Regionale Antimafia, ha stabilito che le province maggiormente permeate dal fenomeno mafioso sono Varese, Lecco e Como. Sarà inoltre avviato un approfondimento sulla città di Milano e sulla situazione della provincia. I comuni di Trezzano sul Naviglio, Corsico e Buccinasco, prima considerati territori di approdo, sono poi diventati vere e proprie roccaforti lombarde di cosa nostra e ‘ndrangheta. Buccinasco è stata ribattezzata, ad esempio, la Platì del Nord.
Secondo Maria Angela Danzì, “alle mafie serviva, e serve, un ambiente dove lavare il denaro sporco: le mafie regionali hanno scelto il nord operoso per poter operare, senza troppo dare nell’occhio, nei mercati finanziari e nell’economia ‘legale’ attraverso società ‘apri e chiudi’, fallimenti pilotati, false fatturazioni, evasione fiscale e degli obblighi contributivi”. Hanno inquinato l’economia, l’ambiente e le relazioni pubbliche. Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia, la città di Milano sembra sia diventata la sede del consorzio tra le mafie, e pare che il mafioso Stefano Fidanzati, referente milanese del clan dei corleonesi, sia indicato come il possibile successore di Matteo Messina Denaro. Insomma, cosa nostra e ‘ndrangheta operano nei territori del Nord come se fossero nei luoghi di origine.
In Lombardia, la ‘ndrangheta e i clan calabresi sono diventati “sistema” e il radicamento nel territorio è stato facilitato da aziende e politica. Non si può più parlare di infiltrazioni ma di sistema, poiché i clan sono in grado di dialogare e fare affari con gran parte del mondo imprenditoriale e politico della regione più ricca d’Italia. È ciò che afferma il Tribunale di Como, nelle trecento pagine di motivazioni alla sentenza del processo “Cavalli di razza”. Dalle inchieste e dalla sentenza emerge una imprenditoria che non si limita a subire la ‘ndrangheta, ma che si pone in affari con la stessa, spesso prendendo l’iniziativa e ricavandone vantaggi. Ovviamente, le attività “tradizionali” legate al traffico internazionale di stupefacenti, alle estorsioni, allo sfruttamento della prostituzione e alle pratiche illegali che arrecano danni all’ambiente, rimangono sempre attive, dal Nord al Sud del Paese.
Il governo, di fronte a tale scempio, tace. Si occupa di altro. Parla di altro. Del resto, nel programma elettorale della destra non vi era cenno alla lotta alle mafie. In questo sono coerenti, stanno attuando il loro programma. Intanto le mafie diventano “sistema”, e quando lo diventano si radicano a tal punto da rimanere e assumere potere al posto dello Stato o insieme allo Stato. Torna alla mente una frase del magistrato e scrittore Giancarlo De Cataldo: “Il terrorismo passa. La mafia resta”.
Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org
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