A due anni dai fatti di Capitol Hill, ecco che a Brasilia i seguaci di un altro campione del sovranismo populista, Jair Bolsonaro, danno l’assalto al cuore della democrazia brasiliana. E non è soltanto il Parlamento a essere occupato e saccheggiato, ma anche la sede della Corte Costituzionale e della Presidenza. In un solo colpo, esecutivo, legislativo e giudiziario. A testimoniare la cultura democratica dei sovversivi. Questi inediti fatti insurrezionali arrivano dopo anni di preparazione culturale e politica che hanno sdoganato idee estreme, diventate la base per una nuova narrazione politica. I cosiddetti “alternative facts”, cioè la realtà parallela, sono diventati l’unica verità per milioni di persone negli Usa e in Brasile. È una tecnica usata da tempo in diversi contesti, e che si propaga soprattutto attraverso i meme che rimbalzano tra WhatsApp e i social network.
Il mago di questa strategia applicata alla politica, e forse il suo inventore, è Steve Bannon, ideatore di siti che creano e propagano fake news, consigliere dei comitati pro-Brexit, di Donald Trump e di Jair Bolsonaro. Bannon ha commentato così i fatti di Brasilia: “Lula ha rubato le elezioni. I brasiliani questo lo sanno” e ha definito gli autori della violenta invasione dei “lottatori per la libertà”. Il metodo usato da questa galassia non è polemizzare con l’avversario, bensì costruire una nuova realtà: una realtà così ben architettata e “attraente” che a un certo punto diventa indistinguibile da quella vera.
In Brasile esistono oggi infatti due realtà. Quella in cui Lula da Silva ha vinto le elezioni in modo pulito e una realtà “alternativa”, nella quale Jair Bolsonaro non ha perso le elezioni, ma è stato vittima di un furto. Ritenuta vera, quest’ultima, dal 30% degli elettori brasiliani. Bolsonaro, dunque, oggi non è un folle fuggito negli Stati Uniti, ma rappresenta milioni di persone che credono e vivono in quella “realtà alternativa”. Nel mondo di Bolsonaro, come in quello di Trump, non si perde, si è vittima di complotti; le cose non sono complesse, sono sempre manipolate; non contano i meriti o gli studi, bastano l’intuito e il “buon senso”. Un mondo nel quale il Covid non è esistito, oppure c’è la cura, ma “non vogliono farcelo sapere”; nel quale è meglio non fidarsi mai dello Stato, ma anzi armarsi per difendersi da soli. Un mondo orrendo perché senza speranza.
Trump e Bolsonaro in realtà non hanno inventato nulla, si sono limitati a rendere più profonda la spaccatura che si è andata creando nelle società occidentali negli ultimi anni. Spaccatura che si manifesta in molti modi diversi: tra città e campagna, tra ricchi e poveri, tra nativi e immigrati, tra perdenti e vincenti nel grande gioco della globalizzazione. Anziché lavorare per rimarginare queste ferite, hanno fatto il possibile per aumentare la divaricazione. Questo agire da incoscienti ha pagato in termini elettorali, almeno inizialmente, e ha trasformato l’agone politico un’arena da corrida, dove non contano le idee né i progetti bensì la capacità di insultare, di raccontare fake news, di demonizzare l’avversario. Il problema per loro è quando il nemico demonizzato riesce comunque a vincere, come successo sia negli USA sia in Brasile: a questo punto la narrazione va in tilt.
Ciò che è successo a Brasilia e a Washington capita anche in molti altri Paesi americani. Ma anche europei, asiatici, africani. In tutto il mondo la mancanza di riconoscimento reciproco tra le parti ha fatto cambiare pelle al dibattito politico, nel quale non si combatte più sul piano delle idee ma su quello della legittimazione (o meglio, della delegittimazione) dell’avversario. I vincitori criminalizzano i predecessori, i perdenti non riconoscono la sconfitta e così si mette a rischio la continuità istituzionale. La critica e ancor più l’autocritica sono scomparse: se qualcosa non funziona è stato un complotto. Si ha una politica sempre più simile alle logiche del tifo calcistico, e tutto ciò alla fine indebolisce le istituzioni democratiche. Bisogna imparare dai fatti di Brasilia e di Washington perché il tarlo che sta erodendo la democrazia non è un problema soltanto brasiliano o statunitense.
Alfredo Luis Somoza -ilmegafono.org
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