Il governo Meloni sta mostrando pian piano il suo vero volto e lo sta facendo attraverso proposte di legge e decreti che lasciano emergere uno spirito che sarebbe riduttivo definire conservatore. Accantonati i discorsi sull’accoglienza e i diritti, messa da parte la questione ambiente dopo la Cop27, è andata in scena la prima manovra del governo Meloni, il cui vessillo, come annunciato durante la campagna elettorale, è stata l’abolizione del Reddito di Cittadinanza a partire dal 2024. Un duro colpo per i cittadini che annaspano nel mezzo della crisi economica che travolge il Paese, soprattutto per tutti quei cittadini “colpevoli” di non avere opportunità e di riuscire a stento ad arrivare a fine mese.
È l’immagine di una destra personalistica, di una destra che non tende la mano ai più deboli, ma solo a chi già di per sé vive nei privilegi, perché se non ci sono opportunità deve essere necessariamente colpa del singolo, non di una società che ci ha spinti all’iper produzione senza voltarsi indietro. Il Reddito di Cittadinanza, a partire già dal prossimo anno, sarà tolto a tutti gli “occupabili”, persone cioè in grado di poter trovare un lavoro. Come se la ricerca e l’occupazione fossero una missione semplice in un Paese, ma soprattutto al Sud, il cui tasso di disoccupazione giovanile tocca percentuali che fanno rabbrividire, attestato al 21,2% nel mese di agosto. Come se lo Stato se ne lavasse le mani, attribuendo al singolo colpe e responsabilità di una mancanza che mette radici nel clientelismo, nella questione sociale, nel capitalismo più becero che esclude e non integra.
Molte famiglie che andavano avanti con il sussidio elargito dal governo Conte a partire dal 2019, dovranno tornare a fare i conti con l’assoluta povertà. Già ai suoi albori il Reddito di Cittadinanza si presentava come una misura controversa e sicuramente migliorabile, ma in certi casi, come hanno insegnato gli ultimi anni di pandemia, si è rivelata essenziale, soprattutto per tutti quelli che si sono ritrovati senza un’occupazione in seguito alla crisi. Certo, non sono mai mancati i furbetti, ma sarebbe sufficiente aumentare i controlli invece di eliminare la misura. Peraltro, a fronte di questa spesa per i cittadini, si prospettano all’orizzonte nuove emorragie di denaro pubblico dovute alle idee e prospettive del governo Meloni.
L’ultima trovata è il bonus matrimoni proposto da alcuni rappresentati della Lega, capeggiati da Domenico Furgiuele. Si tratterebbe di un sussidio di ben 20mila euro utile a coprire spese per la celebrazione del matrimonio. Dapprima la proposta verteva sui soli matrimoni in Chiesa (è obbligatorio essere cristiani!), per poi estendersi a tutti i tipi di matrimonio. I 20mila euro possono dunque tornare utili per libretti, fiori, bomboniere, parrucchiere, catering, insomma tutti servizi indispensabili a sbarcare il lunario. Di fronte a tante amenità, da palazzo Chigi è subito giunta una nota di chiarimento: la misura non è al vaglio del governo, che invece sta studiando misure per agevolare la famiglia e il lavoro. Poi hanno abolito il Reddito di Cittadinanza, una soluzione che si scontra con molti principi del welfare. Già soltanto proporre una misura a favore dei matrimoni lascia molti squarci di riflessione sulla società che si sta configurando sotto il governo Meloni, una società che esclude chi ha un progetto di vita che non sia la famiglia o il matrimonio, che non siano figli e procreazione. E agli altri chi ci pensa? O meglio, per quanto tempo ancora dovranno restare “altri”? Per quanto tempo ancora chi non risponde alle tradizioni dovrà essere considerato cittadino di serie B? Di sicuro almeno per altri 5 anni.
È sconcertante che si tolga un sussidio alle famiglie perdendosi letteralmente in cerimonie, a spese degli italiani. È sconcertante che chi non trovi un lavoro debba essere considerato un fallito a prescindere, immeritevole e senza diritto a un sostegno concreto. È sconcertante che alcuni cittadini debbano addossarsi le conseguenze di errori non commessi da loro, assumendosi la colpa di essere magari nati in un posto meno fortunato. Il Paese si sta trasformando in una sorta di megalopoli fatta di caste e di periferie interne, in cui, banalmente, i ricchi manterranno il loro status, mentre la classe media sta per annaspare e i poveri diventeranno sempre più poveri, oltre a essere degli sfigati.
A dare un prezioso contributo anche il ministro dell’Istruzione (e del Merito, non dimentichiamolo) Giuseppe Valditara, che propone di togliere il Reddito di Cittadinanza a tutti coloro che non hanno completato la scuola dell’obbligo. “Questi ragazzi preferiscono percepire il reddito anziché studiare e formarsi per costruire un proprio dignitoso progetto di vita. Il reddito collegato all’illegalità tollerata del mancato assolvimento dell’obbligo scolastico è inaccettabile moralmente”, ha dichiarato. Ciò che è moralmente inaccettabile è pensare che dei bambini e ragazzi che non hanno portato a termine le scuole medie siano pienamente consapevoli di questa scelta. Magari offrire alle famiglie l’opportunità di consentire il prosieguo degli studi potrebbe essere un’opzione. Non è che così che si comporterebbe uno Stato civile? Oppure vanno premiati soltanto gli studenti nati per vincere?
D’altronde, basta dare uno sguardo ai nomi che, tra ministri e sottosegretari, popolano l’esecutivo: amici di amici, amici di compagne illustri, parenti, scarti dei vecchi esecutivi, che, per citare la denominazione di uno dei dicasteri, di meriti ne hanno ben pochi. Forse solo quello che conta per la destra reazionaria: la fortuna di essere nati con le opportunità di arrivare, una fortuna che spesso e volentieri Meloni dichiara di non aver avuto nel corso della sua vita, ma che forse ne rappresenta la meta prefissata. Lo abbiamo detto già tante volte negli ultimi due mesi: ci aspettano cinque anni veramente difficili.
Virago -ilmegafono.org
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