“Il Governo di Riconciliazione Nazionale dello Stato di Libia e il Governo della Repubblica Italiana qui di seguito denominate “le Parti”: sono determinati a lavorare per affrontare tutte le sfide che si ripercuotono negativamente sulla pace, la sicurezza e la stabilità nei due paesi, e nella regione del Mediterraneo in generale. Nella consapevolezza della sensibilità…”. (leggi qui)
Con queste parole gonfie di vuota retorica veniva sancito il Memorandum d’intesa fra Italia e Libia, contro l’immigrazione illegale e il traffico di esseri umani. Era il febbraio 2017 e il governo italiano di centro-sinistra presieduto da Paolo Gentiloni scrisse, nero su bianco, una pagina vergognosa da aggiungere alle tante che l’Italia ha scritto nel suo libro di storia. La firma di quel Memorandum avvenne senza nessun dibattito in Parlamento, in palese violazione dell’art.80 della Costituzione, che recita così: “Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi”.
Ma sarebbe ingeneroso ricordare solo la firma di Gentiloni su questa macchia: è doveroso ricordare il nome del suo ministro dell’Interno Marco Minniti, il vero regista di quel Memorandum. La Libia era, e ancora è, un Paese devastato nelle sue istituzioni e completamente in mano ad un regime che viola ogni rispetto dei diritti umani. Quell’accordo del 2017, e confermato nel febbraio 2020, si rinnoverà automaticamente ogni tre anni. Sono passati cinque anni e fra pochi giorni, il 2 novembre, è fissata la data del prossimo rinnovo. È sempre più evidente il legame fra le “operazioni di salvataggio” della Guardia costiera e tutto il sistema di detenzione dei migranti. I dati pubblicati da Amnesty International sono drammatici. Sono quasi centomila gli esseri umani che la Libia ha riportato nelle sue galere: uomini, donne e bambini strappati dal mare e restituiti ai lager da cui erano scappati.
Quelle che i governi chiamano “politiche di contenimento dei flussi migratori” sono, in realtà, storie di respingimenti carichi di violenza e violazioni dei diritti umani che alimentano il numero delle morti nel Mediterraneo. Ma, tutto questo, non tocca le coscienze del governo italiano, che non ha nessuna intenzione di cancellare questa vergogna. I crimini contro l’umanità commessi dalla Libia e dalla sua Guardia Costiera sono sotto gli occhi del mondo, denunciati da organismi internazionali dell’ONU e dell’Europa, ma questo non basta al Parlamento italiano. E all’interno di quella Guardia Costiera, finanziata e addestrata dall’Italia, a dettare le regole e guidare le operazioni in mare erano soggetti come Abd al-Rahman al-Milad, meglio noto come Bija, che i rapporti internazionali considerano trafficante di petrolio e responsabile dell’affondamento di imbarcazioni cariche di migranti.
Nello Scavo, giornalista di Avvenire, denunciava e documentava la sua presenza ad un incontro con le autorità italiane avvenuto nel maggio 2017 in Sicilia, precisamente al Cara di Mineo. In seguito a questa sua denuncia e per le sue inchieste sul traffico dei migranti operato dalla Libia, Nello Scavo finì sotto protezione nel 2019. Nell’ottobre scorso, a Roma, decine di associazioni hanno chiesto ufficialmente all’Italia di riconoscere le proprie responsabilità e non rinnovare quell’accordo, alcuni nomi: ACLI, ActionAid, Amnesty International, Emergency, Mediterranea, Medici Senza Frontiere, Open Arms, Save the Children, Sea-Watch, ma l’Italia e il suo Parlamento non sentono questa necessità e, soprattutto, non sentono questa vergogna sulla propria coscienza. C’è un fatto da sottolineare e che, evidentemente, non interessa a chi ha guidato ieri e guida oggi questo Paese ed è che quell’accordo non ha nessun vincolo giuridico.
La Libia che sottoscrisse quell’accordo oggi non esiste più: il ministro per la Riconciliazione Nazionale libico, Fayez al-Sarraj, non è più al potere e, quel Paese, è da oltre un anno senza un governo riconosciuto a livello internazionale. Perché, allora, quegli accordi sono ancora in vita e a chi conviene che lo siano? Ecco, quindi, che il nodo del problema è tutto a casa nostra. Quell’accordo che il governo italiano mascherava come un argine di contenimento del flusso migratorio attraverso il raggiungimento di umane condizioni di vita nei centri di accoglienza libici, conteneva anche la promessa di aiuti finanziari, di mezzi e di istruttori alla Guardia costiera libica, di fatto il coinvolgimento militare, economico e quindi politico.
La storia ci ricorda che questo accordo segue gli accordi che già in passato erano stati firmati fra i due Paesi: nel 2008 l’accordo portava la firma di Roberto Maroni con il governo di Muammar Gheddafi, mentre nel 2012 l’accordo venne rinnovato da Anna Maria Cancellieri. Anche quegli accordi prevedevano il controllo delle frontiere e l’addestramento delle forze di polizia di frontiera locali. Qual è, dunque, il fattore comune di questa sequenza di accordi fra Italia e Libia? Cosa si nasconde dietro il sostegno dell’Italia alla Libia nel pattugliamento dei confini di accesso per i migranti provenienti dall’Africa subsahariana? Qual è la moneta di scambio? Davvero si vuole far credere che il ruolo che l’Italia ha giocato e continua a giocare in quelle che i governi chiamano strategie di respingimento non abbia un nesso con i profitti e i bilanci delle aziende che, nel nostro Paese, contribuiscono a equipaggiare e a formare la Guardia costiera libica con forniture milionarie?
Parliamo di motovedette, costruite nei nostri cantieri navali, di apparecchiature informatiche, di uomini che addestrano e formano i militari libici. Tutto questo mentre le iniziative di soccorso istituzionale in mare sono diventate lettera morta quando, a partire dal 2014, è stata decisa la chiusura dell’operazione “Mare Nostrum”. Ecco allora che gli accordi con la Libia diventano una tessera di un puzzle molto grande, accordi stipulati con un Paese che non ha mai sottoscritto e accettato quella Convenzione di Ginevra sullo Status dei Rifugiati, un Paese che più volte è stato indicato come quello in cui le violazioni dei diritti umani sono una prassi. Le responsabilità dell’Italia sono enormi in questo senso. Ma a chi interessano queste violazioni e perché il nostro Paese continua a finanziare e a supportare la Libia in ogni modo e con qualunque governo? Con la firma di quel Memorandum, l’Italia si impegnava anche a finanziare e sostenere i “centri di accoglienza”. Oggi tutti sappiamo che quei centri di accoglienza sono dei veri lager a cielo aperto.
Quell’accordo rende l’Italia complice, o artefice, di un atto criminale acclarato. Ecco perché quell’accordo deve essere cancellato insieme ai finanziamenti e a una cooperazione che non ha nulla di umanitario. È del tutto evidente e innegabile che il supporto alla Guardia costiera libica consente e permette alla Libia di bloccare i migranti e restituirli alle patrie galere, e questo rende il nostro Paese complice dei crimini commessi contro i migranti. Di tutto questo i politici e i governi che hanno sottoscritto, supportato e mantenuto in vita questi accordi dovranno rispondere alla propria coscienza e non solo: un esposto è stato presentato da un gruppo di giuristi di vari Paesi europei alla Corte penale internazionale.
Mancano pochi giorni al 2 novembre e, quindi, al rinnovo automatico di quel vergognoso accordo. Difficile ipotizzare che il nuovo Parlamento decida di non procedere in tal senso. I migranti sono ancora e sempre il cavallo di battaglia su cui costruire consensi politici. Amaro, però, ricordare una volta ancora come quegli accordi furono fortemente voluti da un governo di centro-sinistra e che in questi cinque anni niente sia cambiato. Se esiste una sola possibilità che questa pagina oscena della nostra storia possa essere stracciata, essa è tutta e solo sulle spalle di chi continuerà a riempire le piazze di questo Paese per gridare il proprio rifiuto. È tutta, e solo, sulle spalle di chi decide che esiste una sola razza: quella umana. Il resto rimane nelle chiacchiere da salotto televisivo e nei voti raccolti chiudendo la porta a chi cerca una vita scappando anche dalle galere della Libia.
La “lectio magistralis” di Ponzio Pilato, prefetto di Giudea, ha fatto scuola e la lezione è stata imparata da tanti studenti: molti di loro siedono in Parlamento e nei CdA delle eccellenze. Fanno mestieri diversi: qualcuno firma trattati e Memorandum, scrive leggi sbagliate e semina macerie; qualcun altro costruisce ricchezze su quelle macerie, lucida i bilanci costruendo e vendendo armi e motovedette a chiunque, anche alla Guardia costiera libica. Il profitto, prima di tutto, ché il resto non conta nulla.
Maurizio Anelli -ilmegafono.org
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