Nelle scorse settimane, la DIA ha pubblicato la consueta relazione semestrale relativa alla presenza della criminalità organizzata nel nostro Paese. Focus della relazione è stata soprattutto l’analisi dettagliata dei continui e ricorrenti fenomeni di stampo mafioso in Italia, nonché delle diverse ingerenze che quasi tutti i gruppi criminali hanno nel tessuto socio-economico. Questa analisi, resa possibile dalle numerosissime indagini e inchieste svolte negli ultimi 12 mesi, ha offerto un risultato forse poco sorprendente, ma che desta ugualmente particolare preoccupazione: il modello “ispiratore” delle organizzazioni mafiose, infatti, non sarebbe tanto basato sulla violenza, quanto più sulle infiltrazioni a livello economico e finanziario. “Le risultanze di analisi sui fenomeni criminali di tipo mafioso – si legge nella relazione . continuano a presentare il rischio che i sodalizi di varia matrice possano perfezionare quella strategia di infiltrazione del tessuto economico in vista dei possibili finanziamenti pubblici connessi al PNRR”.

A far da padrona, come abbiamo detto, c’è senz’altro una criminalità organizzata il cui obiettivo principale è un “illecito accumulo di ricchezza che comporta la disponibilità di imponenti riserve di liquidità, le cui origini devono essere celate e la cui consistenza può essere ingigantita invadendo il campo dell’imprenditoria legale”. In poche parole, un tentativo neppure tanto velato di infiltrarsi all’interno di quella economia lecita che è fondamentale per l’esistenza e la sopravvivenza degli stessi clan. E c’è di più. Sempre secondo quanto emerso dalla relazione della DIA, le organizzazioni non si limiterebbero soltanto al “saccheggio” della rete produttiva, ma anzi diventano impresa e questo grazie alla collaborazione di professionisti collusi che vedono nell’illegalità una fonte di profitto più redditizia e immediata.

Il tutto, non bisogna dimenticarlo, è senz’altro agevolato da un silenzio che non risparmia la politica nazionale: escluso qualche timido accenno sparso qua e là, praticamente nessun partito ha pensato di includere la lotta alla criminalità organizzata nel proprio programma elettorale, a dimostrazione di una negligenza e di una indifferenza sempre più marcate e pericolose. D’altronde, è proprio nel silenzio che il male mafioso riesce ad annidarsi ancor più in profondità, riuscendo a raggiungere le radici e la struttura portante di un Paese già traballante di suo e sempre più in declino. A ragione di quanto indicato nella relazione della DIA, appare evidente come siano sempre più necessarie delle operazioni di contrasto mirate e specifiche.

Operazioni che, in particolare, devono puntare ad “arginare il riutilizzo dei capitali illecitamente accumulati per evitare l’inquinamento dei mercati e dell’ordine pubblico economico”. L’asse economico-finanziario, comunque, non è il solo a destare preoccupazione. Nonostante i numerosi arresti e interventi da parte delle forze dell’ordine, infatti, sembra che vi sia un continuo e costante sforzo di riorganizzazione da parte delle cosche criminali. Nello specifico, in Sicilia, “tale caratteristica si realizza sia sul versante occidentale dell’isola dove, pur in assenza di un organismo decisionale di vertice, non ancora ricostituito, resiste una rigida struttura organizzativa, sia sull’assetto catanese, ove le famiglie si confrontano con sodalizi meno strutturati ma non meno aggressivi”.

Ciò vale ovviamente anche per tutte le altre organizzazioni criminali in Italia, a dimostrazione di una resilienza e di una capacità di sopravvivenza che le rende così radicate e difficili da estirpare. Non è da dimenticare, infine, la forte presenza che i clan italiani sono riusciti a instaurare e mantenere anche all’estero. Sono infatti diversi i Paesi stranieri vittime di una presenza mafiosa sempre più intensa, una presenza che non risparmia i settori strategici di ogni singolo Stato, ostacolandone la crescita. Spagna e Germania sono sicuramente tra le nazioni che più di tutti, storicamente, soffrono la presenza delle mafie italiane. Nel primo caso, ad esempio, la ‘ndrangheta è molto forte tra Girona e Madrid, mentre la camorra avrebbe monopolizzato le province di Barcellona, Tarragona, Valencia e persino le isole Baleari. Il Paese più attrattivo resta però la Germania, dato che è proprio qui che ‘ndrangheta, cosa nostra e camorra continuano a fare affari in diversi settori, tra cui l’edilizia, il traffico di stupefacenti e la vendita di prodotti contraffatti.

Insomma, la presenza mafiosa è e resta un problema gravoso sia per il nostro Paese che per quelli stranieri ed è proprio per questo motivo che la DIA, nella relazione, ha voluto porre l’accento sul fattore economico delle cosche. È solo colpendo alla fonte queste organizzazioni che sarà possibile contrastarle a dovere. È solo mirando alle tasche, ai fondi, ai soldi veri e propri, che si potrà mettere in atto un’operazione di contenimento e di lotta efficace e duratura. D’altronde lo diceva già Giovanni Falcone già più di trentacinque anni fa. Il perché non sia cambiato nulla, oggi, a distanza di così tanto tempo, resta un mistero ancora tutto da svelare o forse è perfettamente svelato dall’indifferenza della politica attuale.

Giovanni Dato -ilmegafono.org