“Che cos’è la Buona Scuola? È molto più di una legge, è un modo nuovo di vedere e vivere la scuola, partendo dal soggetto per cui la scuola è stata creata: lo studente. Per il nostro Paese, poco abituato agli scossoni, è stata una sorta di rivoluzione… L’alternanza scuola‐lavoro esce dalla sperimentazione e diventa strutturale grazie ad uno stanziamento di cento milioni all’anno. A breve sarà emanata una Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza. I ragazzi potranno esprimere una valutazione sull’efficacia dei percorsi effettuati. È stata attivata la Piattaforma digitale per la gestione dell’alternanza scuola-lavoro: con un bottone rosso gli studenti potranno denunciare i casi in cui non viene rispettato il patto formativo”. Così, con queste parole scritte e pubblicate il 22 novembre 2017, il Partito Democratico celebrava la legge 107/2015, approvata dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica ed entrata in vigore il 16 luglio 2015. Due anni dopo, queste erano le considerazioni su una legge voluta e difesa in tutti i modi.
In molti hanno dimenticato che questa legge venne approvata mentre le scuole erano chiuse e, per approvarla, il governo, allora presieduto da Matteo Renzi, chiese il voto di fiducia dopo che il disegno di legge aveva incontrato la decisa opposizione del mondo della scuola, lavoratori e studenti. Per questo si scelse il voto di fiducia, in piena estate. L’estate è complice, è la stagione dove l’attenzione cala e i governi lo sanno molto bene. Furono in molti, al di fuori del mondo della scuola, ad applaudire quella legge, non solo il Partito Democratico che l’aveva fortemente voluta. Ad applaudire fu anche il mondo degli imprenditori e delle imprese e, più in generale, quella parte della società che da tempo lavorava per istituire – e regolamentare con una legge – un sistema capace di diffondere quella cultura del mercato in grado di plasmare le generazioni più giovani ai bisogni del mercato stesso.
Quella legge rese obbligatoria, e condizione indispensabile per l’ammissione all’Esame di Stato, quell’alternanza scuola-lavoro che era già stata introdotta nel 2003 dal “ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca” di cui era titolare Letizia Moratti. Perché rendere obbligatoria quell’alternanza scuola-lavoro? A chi serviva, ieri e oggi, e cosa ha tolto agli studenti? Chi applaudiva, ripeteva come un mantra che quella legge avrebbe favorito l’orientamento dei giovani, aiutandoli a scegliere autonomamente e consapevolmente il loro futuro nel mondo del lavoro, oltre ad accrescere il loro senso di responsabilità. Per garantire tutto questo era assicurata la presenza di un tutor didattico, cioè un insegnante, e di un tutor aziendale, che avrebbero facilitato e tutelato l’inserimento dello studente nel posto di lavoro. Era davvero così nobile il senso di quell’obbligo? Quali reali vantaggi traevano le imprese dalla possibilità di avere, in cambio di crediti formativi, una manodopera-apprendista per centinaia di ore a basso costo, che diventavano un vantaggio competitivo traducibile in un abbattimento sostanziale del costo del lavoro?
C’è una linea di demarcazione, netta e tranciante, che separa la stagione della scuola e della conoscenza con le esigenze del sistema produttivo, del mercato. Perché di questo si trattava e si tratta. Cosa questa legge ha tolto agli studenti è ancora più facile da spiegare. C’è una parola che gli studenti di ogni epoca e di ogni latitudine hanno sempre detestato: obbligo. E quando questa parola viene imposta dai governanti, che la spacciano come un’opportunità da non rifiutare, allora diventa – giustamente – inaccettabile. Gli studenti questa legge l’avevano capita prima di tanti figuranti della politica, giornalisti e presunti intellettuali. Oggi l’esame di maturità al termine del ciclo scolastico prevede, in conseguenza di quella legge, una relazione da parte degli studenti sul percorso di alternanza, quasi ad attribuire allo stage in alternanza un valore superiore alle stesse materie proprie dell’indirizzo di studio scelto. Si è persa di vista la ragione stessa del concetto di scuola, come se il sapere e il conoscere fossero marginali rispetto al mercato.
Sono passati sette anni dall’entrata in vigore di quella legge e il bilancio non è solo negativo, è tragico. Quel “capitale umano” che si prometteva di valorizzare si è ritrovato a fare in conti con una realtà troppo diversa, troppo dura da accettare. Quella che – per usare le parole di Assolombarda – doveva essere “un’occasione per scoprire eventuali talenti del domani”, si è dimostrata l’ennesima ipocrisia nei confronti di quelle generazioni a cui questo modello di società non sa guardare. Il “capitale Umano” non interessa a questa modello di società, se non nella misura in cui sia possibile selezionare e plasmare futuri adulti funzionali al modello stesso. Nel percorso necessario a completare questa selezione si incontrano “effetti collaterali”, come la morte di ragazzi di 18 anni e anche più giovani che entrano in una fabbrica per compiere quello stage necessario per acquisire i crediti indispensabili per ottenere un diploma.
Giuliano, nel suo stage e sul suo sentiero, ha incontrato una lastra di metallo che si è presa la sua vita e tutti quei crediti che a 18 anni si ha il diritto di avere. Giuliano è il terzo ragazzo a cui, solo quest’anno che non è ancora finito, l’alternanza scuola lavoro ha portato via tutto. Prima di lui è toccato a Lorenzo, a Giuseppe. La politica si smarca, prova a rimuovere e ad assolvere se stessa dalle sue stesse scelte, parla di “tragica fatalità”. La politica esprime cordoglio e parole di circostanza che durano lo spazio di qualche giorno ma, nella realtà di fatti, non esiste nessuna volontà nemmeno di discutere se mantenere o meno gli stage nelle aziende: la legge 107/2015 non si tocca nella sostanza. Perché quella sostanza è la logica perversa che pone la scuola al servizio del lavoro e del mercato, ed è quello il cuore del problema. Cosa resta agli studenti? Nel gennaio scorso, dopo la morte di Lorenzo, 18 anni, morto nell’ultimo giorno di stage in un’azienda di carpenteria in provincia di Udine, gli studenti erano scesi nelle piazze per protestare e chiedere l’abolizione dell’alternanza scuola-lavoro, perché non “si può considerare didattica ciò che sfrutta, ferisce e uccide”..
La risposta dello Stato alla loro protesta è stata affidata ai manganelli che a Milano, Torino, Napoli e Roma cadevano su di loro. L’incapacità dello Stato e delle istituzioni di stabilire un dialogo con le giovani generazioni è una costante di ogni società. I giovani sono sempre stati visti come un elemento marginale della società stessa, è stato così in passato e così è anche oggi. La differenza sta tutta nel fatto che forse non rimane molto tempo per capire che questo modello di società è a un passo dall’implodere su se stessa e sulla sua incapacità di capire, sulla sua stessa arroganza, assolutamente decisa a non fare mai un passo in avanti. Il tutto senza provare nemmeno un briciolo di vergogna.
“Non potevamo entrare in classe come se fosse un giorno normale e fare lezione come se niente fosse accaduto. Qualcuno cerca di far passare questo ennesimo omicidio come una tragica fatalità da risolvere invocando più controlli per la sicurezza. Controlli che sappiamo che non ci sono per i lavoratori. Figurarsi per noi studenti in stage! Sono solo parole quelle che ci dicono, ma noi sappiamo che non bastano più le parole”. Queste sono le parole di Nina, portavoce del coordinamento studenti medi di Venezia. Sono le parole di una ragazza che appartiene a quella generazione che la politica e le istituzioni non vedono o fingono di non vedere. Fino al prossimo Giuliano, al prossimo Lorenzo, o Giuseppe. Italo Calvino disse che “un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano o i costi sono eccessivi. Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere”. Non conoscevo questa considerazione, lucida ed estremamente amara nella sua verità, di Calvino. Ringrazio la persona che me l’ha fatta conoscere.
Maurizio Anelli -ilmegafono.org
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