Prima Lusi e poi Belsito. Due interessanti personaggi che stanno rendendo l’Italia del post berlusconismo un interessante campo di studi per teorici della contabilità e della scienza politica. Le vicende, ormai, sono note a tutti. Un metodo, quello dei due tesorieri, simile nell’usare soldi pubblici per spese personali (chi poi sia la persona in questione si verificherà), anche se diverso nelle somme. Eppure nella sostanza c’è una rapina bella e buona ai danni dei partiti, destinatari delle somme, e ai danni nostri, contribuenti nostro malgrado di spese in immobili e diamanti. E allora, complice il prezzo dei carburanti, quello delle mentine e per colpa delle tasse (che ci sono sempre state più o meno su questi livelli), il popolino italiano comincia ad arrabbiarsi. Il che è più che comprensibile.

Tirati allo stremo come siamo da media catastrofisti e da un’economia che ricatta la politica, la reazione è normale. Ma sbagliata. Perché in un momento come questo la politica in sé ha bisogno di tutto, fuorché di perdere ulteriore stima da parte dei cittadini. Certamente ABC, come li chiama Gramellini, non difendono la categoria in modo eccelso. Neanche una settimana e la loro proposta è stata bocciata. Poveretti. Eppure non possiamo e non dobbiamo farci trarre in inganno. Sì perché hanno buon gioco (ammesso che ne abbiano il diritto) il fastidioso Grillo e Di Pietro a fare i cavalieri senza macchia e a rincoglionirci di populismo. Bisogna stare attentissimi, adesso, a non farci prendere dal panico e dall’antipolitica.

La deriva demagogica è alle porte, i comici (ci includo anche Crozza a Ballarò) fanno bene a evidenziare i problemi ma non si può pretendere che propongano la soluzione. Su certe cose si deve ragionare a mente fredda non con le battute. Mi spiego. In tutta questa vicenda ci sono due punti che vanno analizzati da un punto di vista teorico, perché su quello giudiziario c’è già chi se ne occupa. Primo: possibile che questi soldi girassero indisturbati da una tasca all’altra?  Un Segretario di Partito può lasciare impunemente che nella stanza affianco si faccia il bello e il cattivo tempo con i soldi dell’organizzazione che dirige? Non saperne nulla non è in questo caso uguale a innocenza ma a colpevole ignoranza.

È giusto quindi non solo dimettersi ma sparire dalla politica, non perché colpevoli di fronte a una corte ma perché incompetenti nel proprio lavoro. Secondo: il famigerato finanziamento ai partiti è necessario. L’idea di fondo del barbuto passionario delle piazze e dei vaffa è che non si possano dare soldi pubblici (nostri) a dei partiti, perché prendono troppi soldi dappertutto. Ragionare così è bello e se si potessero risolvere i problemi sociali così come si tirano le somme saremmo una società perfetta. Ma la deriva demagogica è assolutamente sbagliata.

La ratio è che lo Stato deve favorire il confronto politico tra diverse idee e favorire il pluralismo delle opinioni. Per farlo bisogna consentire a tutti, e dico tutti, di partecipare alla vita politica. Per farlo si pagano i partiti (e le spese di campagna elettorale, piaccia o meno, sono ingenti) e i deputati. Puntare il dito è facile andrebbe fatto sempre e più spesso. E prendersela con la politica nel lungo termine fa male. Lo insegna la storia del fascismo e del berlusconismo. Ci siamo tenuti per diversi anni un monopolio televisivo diretto dal Capo del Governo e siamo stati zitti. Devono proprio toccarci il portafogli per farci sentire la puzza di qualcosa che non va?

Penna Bianca –ilmegafono.org