“Il tempo passa senza chiedere scusa”, scrive il fumettista giapponese Jirō Taniguchi, e dalla nascita di Mauro Rostagno, avvenuta il 6 marzo 1942 a Torino, di tempo ne è passato tanto, sono trascorsi ben ottant’anni. Ma a quest’età Mauro Rostagno non è mai arrivato, perché la sua vita è stata brutalmente interrotta il 26 settembre 1988 a Lenzi di Valderice (Trapani), quando aveva solo 46 anni, morto assassinato il giorno dopo l’uccisione del giudice canicattinese Antonino Saetta e del figlio Stefano. Il giorno della sua morte, su RTC notiziario, Rostagno aveva dedicato un lungo servizio all’omicidio del magistrato e del figlio. Pieno di capelli, barba folta, sguardo acuto e carico di stupore come certi bambini che si meravigliano per le cose semplici, era, allo stesso tempo, indagatore, curioso, con un sorriso aperto, chiaro, luminoso.
Sociologo, giornalista, attivista, dal Piemonte aveva vagato in giro per l’Europa, dalla Germania al Regno Unito alla Francia, accumulando esperienze con il proposito di diventare giornalista. Partecipa al Sessantotto, si iscrive alla facoltà di Sociologia dell’Università di Trento, si laurea in Sociologia con il massimo del voti, contribuisce a fondare Lotta Continua, una delle maggiori formazioni della sinistra extraparlamentare italiana, di orientamento comunista, rivoluzionario ed operaista, anche se Rostagno non sostenne la lotta armata, essendo un pacifista convinto. Frequenta la città di Palermo dove assume l’incarico di assistente nella facoltà di Sociologia dell’Università e fonda a Milano, insieme ad altri, nel 1977, il centro culturale Macondo, chiuso dalla Polizia due anni dopo e che causerà a Rostagno problemi giudiziari legati all’uso di stupefacenti, da cui verrà prosciolto.
Dopo un lungo viaggio in India viene a contatto con il guru Bhagwan Shree Rajneesh (in seguito noto come Osho). Nel 1980 decide di tornare in Sicilia e si trasferisce a Trapani, fondando la comunità terapeutica Saman, per il recupero delle persone tossicodipendenti. Dalla metà degli anni Ottanta lavora come giornalista e conduttore per l’emittente televisiva locale RTC, dove in seguito si avvale della collaborazione anche di alcuni ragazzi della comunità da lui fondata. Intervista Paolo Borsellino e Leonardo Sciascia e indaga su cosa nostra e il suo potere. Attraverso la televisione denuncia le collusioni tra la mafia e la politica, in particolare quella locale: tra i tanti servizi giornalistici di denuncia del fenomeno, la trasmissione di Rostagno seguiva tutte le udienze del processo per l’omicidio del sindaco Vito Lipari, nel quale erano imputati i boss mafiosi Nitto Santapaola e Mariano Agate, il quale durante la pausa di un’udienza riferì che bisognava comunicare a Rostagno che «doveva dire meno minchiate» sul suo conto.
Verrà brutalmente assassinato a poche centinaia di metri dalla sua Comunità, mentre si trovava in macchina, una Fiat Duna DS bianca, colpito con un fucile a pompa calibro 12 e una pistola calibro 38. Dopo la sua morte tanti depistaggi e tante supposizioni, fino ad arrivare alla condanna dei boss trapanesi Vincenzo Virga e Vito Mazzara. Rimangono ancora aperti i dubbi circa i collegamenti tra cosa nostra e la massoneria o la possibilità che Rostagno avesse scoperto traffici illeciti di armi italiane nella guerra in Somalia. Ombre e dubbi che non si sono mai chiariti e dipanati del tutto. Nel 2011, la figlia di Mauro, Maddalena Rostagno, insieme ad Andrea Gentile, hanno pubblicato per la casa editrice Il Saggiatore, il libro “Il suono di una sola mano. Storia di mio padre Mauro Rostagno”, dove si racconta, in modo intimo, la vicenda umana di quest’uomo del Nord che decide di diventare siciliano e trapanese, dicendo con orgoglio: “Io sono più trapanese di voi perché ho scelto di esserlo”.
Ricordare Rostagno significa non solo avere memoria dell’omicidio di un giornalista e di un uomo innocente, ma anche avere memoria di quello che Rostagno ha costruito durante la sua vita e di quello che ha rappresentato da un punto di vista culturale, sociale e politico in quel lembo di Sicilia e non solo. Trapani diventa la Macondo di Rostagno: la città in cui si svolgono le vicende della famiglia Buendia nel romanzo Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez e che aveva dato il nome anche al Centro Culturale di Milano. Mauro e la moglie Chicca Roveri come i personaggi dell’opera, Aureliano e Amaranta Ursula. Trapani come Macondo, dunque. Quella Macondo “dimenticata perfino dagli uccelli, dove la polvere e il caldo si erano fatti così tenaci che si faceva fatica a respirare, reclusi dalla solitudine e dall’amore e dalla solitudine dell’amore in una casa dove era quasi impossibile dormire per il baccano delle formiche rosse, Aureliano e Amaranta Ursula erano gli unici esseri felici, e i più felici sulla terra”.
Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org
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