“Io lo so chi siete!”: una frase breve, semplice, composta da appena cinque parole, eppure piena di coraggio. Secondo i racconti di alcuni testimoni, sarebbero infatti queste le parole che Ida Castelluccio, la moglie del poliziotto Nino Agostino, rivolse ai due sicari che crivellarono di colpi lei ed il marito sul lungo mare di Villagrazia di Carini il 5 agosto del 1989. L’agguato mortale nei loro confronti fu piuttosto efferato: i due giovani, da poco sposati ed in attesa del loro primo figlio, furono avvicinati da una moto che cominciò a sparare nella loro direzione. Il poliziotto, disarmato, tentò di proteggere la moglie e la vita dentro di lei facendo loro scudo con il proprio corpo, morendo inevitabilmente sul colpo. Lei, ferita gravemente, riconobbe i propri assassini e li sfidò con quelle parole mentre si trascinava verso il corpo del marito, per poi morire, poco dopo, durante il trasporto in ospedale.
Questa frase di sfida è stata presa in prestito da Alessandro Colizzi e Silvia Cossu, che l’hanno scelta come titolo per il loro docufilm sull’attentato e sulla trentennale battaglia di Vincenzo Agostino, padre di Nino, per ottenere verità e giustizia. Quella di Vincenzo è una figura iconica del mondo antimafia, un omone con un volto serio, forgiato da anni di lotta, delusioni, dolore e rabbia, incorniciato da lunghi capelli e barba bianchi. I suoi capelli e la sua barba sono molto lunghi, esattamente quanto lunga è stata l’attesa perché fosse stata fatta chiarezza e giustizia per il figlio e la nuora. Vincenzo decise infatti che non li avrebbe più tagliati finché non fosse emersa tutta la verità su quell’attentato che ha distrutto per sempre la sua famiglia, privando lui e la moglie Augusta, di un figlio, di una nuora e di un nipotino che non hanno mai potuto conoscere.
Il documentario, presentato in anteprima al 66° Taormina Film Fest e premiato come Miglior Documentario al Mescalito Biopic Fest 2021, è in questi giorni in programmazione in oltre 20 città italiane, nell’ambito delle attività pensate per la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, che è stata celebrata il 21 marzo. Il documentario, con le sue riprese, segue Vincenzo Agostino mentre, con movimenti un po’ stanchi ma decisi e colmi di amore, pulisce il ceppo monumentale che sorge laddove il figlio e la nuora hanno perso la vita. Il video accompagna questo padre coraggio per le vie di Palermo, nelle scuole, nello svolgimento delle sue attività di sensibilizzazione e lotta per la giustizia e la verità. Una lotta lunga, estenuante, che caratterizza la vita di moltissimi familiari di vittime di mafia costretti a rialzarsi dopo un immenso dolore e a divenire guerrieri, a combattere senza sosta perché il sacrificio dei propri cari non sia stato vano o per difendere la loro dignità.
Nel duplice omicidio Agostino, per esempio, i primi tempi si seguì anche la pista passionale, infangando in parte la memoria delle due giovani vittime, con il poliziotto accusato ingiustamente di aver perso la vita in ragione di una vita sentimentale “sregolata”. Il film ha il grosso pregio di avere come protagonista un uomo giusto, padre di un poliziotto ligio al dovere, un uomo che lotta per la giustizia, tutte qualità che spesso non appartengo ai film realizzati sulla mafia. Questo genere di tematica è infatti spesso stata raccontata ponendo come protagonista un boss che viene quasi mitizzato, presentato agli spettatori come forte, affascinante, potente e offrendo dunque un messaggio distorto e pericoloso. “Io lo so chi siete”, invece, con gli occhi buoni e tristi di Vincenzo non rischia di passare messaggi antisociali ma, al contrario, si pone come forte arma di educazione o rieducazione alla legalità.
Anna Serrapelle -ilmegafono.org
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