Il pericolo numero uno, se mai fosse stato reale e concreto, lo abbiamo scampato. Il Quirinale non sarà la nuova residenza di Silvio Berlusconi. Il Paese ha evitato lo spauracchio di essere rappresentato da chi lo ha umiliato a lungo con la propria storia personale e politica, fatta di gesti e dichiarazioni imbarazzanti, rapporti ambigui, condotte autoritarie, santificazione di pregiudicati ed ex boss mafiosi. Tuttavia, mentre questo articolo viene scritto e pubblicato, la politica non ha ancora scelto il Capo dello Stato che succederà a Sergio Mattarella. Anzi, la politica nel suo insieme ha trasformato ancora una volta l’elezione di una figura istituzionale di garanzia in una bagarre di schieramenti, in un’avventura da armata Brancaleone, in un triste gioco di parte, dal quale ciascuno cerca di trarre vantaggio. Eppure la scelta del Presidente della Repubblica dovrebbe essere finalizzata a individuare una persona equilibrata, competente, con esperienza politica ma non collegata alle stanze e alle dinamiche spicciole di partito.
Come di consueto, sono stati fatti diversi nomi, sono state presentate rose più o meno credibili, probabilmente il prescelto o la prescelta non è nemmeno dentro queste rose e verrà fuori all’improvviso, convincendo tutti o quasi. Almeno si spera. Ma il punto è proprio questo: cosa attendersi da una politica stagnante e infima come quella italiana? La stessa politica che ha nuovamente sperato che il presidente in carica accettasse di essere rieletto, come avvenne già in passato con Napolitano. La stessa politica che pensa persino di dirottare al Quirinale l’attuale premier, considerato ormai la panacea, la sintesi di questa palude, la sola figura capace di tenere a bada l’esuberanza cialtronesca delle forze in campo, da quelle democratiche a quelle sovraniste, fino a quelle minuscole che giocano a fare l’ago della bilancia. Una situazione disarmante, nella quale i partiti, nel pensare di mandare Draghi al Colle, hanno chiesto preventivamente che lo stesso premier indicasse il suo successore a palazzo Chigi.
Un assurdo, una cosa che peraltro avrebbe portato il neopresidente a esercitare una sorta di ruolo attivo sul governo, in un momento delicato per il Paese, alle prese con la crisi economica e con la gestione dei soldi del piano europeo di ricovero. Una soluzione che sarebbe folle, soprattutto perché verrebbe inficiato gravemente il ruolo di garante super partes, sbilanciando pesantemente l’equilibrio dei poteri richiesto dalla nostra Costituzione. Altrettanto grave è immaginare di eleggere alla Presidenza della Repubblica chi al momento dirige il DIS (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza), come Elisabetta Belloni, nominata lo scorso anno proprio da Draghi e inserita tra le papabili. Insomma, nessuna delle soluzioni prospettate ha convinto, mettendo in evidenza la debolezza dell’attuale sistema politico italiano, arroccato su un governo che mette dentro dei pericolosi opposti, rispetto ai quali si gioca ogni giorno una estenuante guerra di compromessi. Tutto in nome della necessità di stabilità. Una stabilità posticcia, che ha prodotto il graduale scollamento dalle priorità del Paese, dai suoi problemi reali.
L’agenda politica degli ultimi mesi, infatti, al netto delle misure per il contenimento dell’emergenza pandemica, è stata caratterizzata dal costante confronto tra le forze in campo, soprattutto all’interno delle proprie aree allargate, con mosse strategiche e operazioni sotto traccia per conquistare la leadership di una possibile coalizione, dichiarazioni studiate, riunioni segrete per accordi utili a far saltare il banco. Si è consumata la politica delle stanze, delle trame, delle recriminazioni e delle mediazioni. Il tutto mentre il Paese continua a resistere, ma con la stanchezza sulle gambe che rende tutto più pesante. Un Paese nel quale difettano le misure di respiro sociale che, seppur imperfette e caotiche, sono state attuate nella prima fase della pandemia. Una pandemia che ora è tornata a mordere (e in effetti non ha mai smesso di farlo).
Così, mentre il dibattito è sterile e si accende solo sulla noiosa contrapposizione tra la follia becera dei no vax e la retorica irritante e integralista di una parte dei pro vax, nei piani bassi dell’Italia, oltre che fuori dalla sua porta, in luoghi nei quali l’Italia stessa esercita un ruolo, si ascolta il silenzio degli ultimi. Si avverte il dolore dei dimenticati, coloro che non hanno più nemmeno la forza di accusare qualcuno, che sia il governo, l’Europa, il proprio sindaco o il poveraccio seduto accanto, sullo stesso ultimo gradino, ai margini del nostro tempo. Al momento, non è ancora possibile sapere chi sarà eletto o eletta al Quirinale, ma di sicuro il nuovo Capo dello Stato farebbe bene ad assumersi una responsabilità urgente, quella di indicare alla politica la strada della dignità nazionale, della solidarietà, del cambio di rotta. Perché il Paese non sono i no vax o chi manifesta affermando che il Covid non esiste, ma sono tutti quelli che soffrono davvero, in silenzio.
E sono gli stessi che già prima della pandemia erano dimenticati e ai quali, oggi, si sono aggiunti gli altri, quelli ai quali il Covid ha peggiorato la vita o gliel’ha resa molto difficile e precaria. Al di là dell’equilibrio e della forma, delle prerogative e della statura, forse in questo Paese c’è bisogno anche di qualcuno che dia speranza e soprattutto mostri una direzione chiara. Qualcuno che possa avere il rigore e la competenza di Mattarella, ma anche l’empatica umanità e il carisma di Sandro Pertini. Per riuscirci, servirebbe un miracolo o forse un po’ di amore per questa nazione. Quello che manca a chi oggi gioca una partita di nervi o implora un banchiere di essere il risolutore dei vuoti cosmici di una politica incapace, ancora una volta, di mostrare dignità e spessore. Anche durante il voto in aula.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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