A Ragusa non si potranno più vendere gadget e souvenir inneggianti, in maniera positiva, alla mafia e agli ambienti criminali. È questa la decisione presa dal sindaco Giuseppe Cassì e scaturita da una proposta presentata lo scorso febbraio dal consigliere comunale del PD, Mario D’Asta. Finalmente questo divieto potrà essere attuato e applicato sull’intero territorio ragusano. Con questa iniziativa, Ragusa si candida a tutti gli effetti ad essere il primo comune siciliano (e probabilmente italiano) in cui non sarà più possibile vendere e acquistare magliette, gadget o altra oggettistica varia in cui la mafia venga raffigurata in forme e sembianze folkloristiche, quasi come un prodotto tipico della Sicilia.
Che la mafia non sia né folklore né cultura, è risaputo. Purtroppo, però, al turista di turno (e di passaggio), spesso poco attento, tutto questo non importa, lasciandosi così attrarre e foraggiando questo tipo di souvenir. Mario D’Asta con la sua proposta, a febbraio, volle sottolineare come la Sicilia è altra cosa, molto diversa da quanto raffigurato in quei gadget: “La Sicilia è cultura, arte, accoglienza, enogastronomia, e nel 2021 non possiamo permettere che i turisti caratterizzino la nostra isola meravigliosa con immagini di mafia e gadget che riprendono una visione antica e standardizzata di cui noi vogliamo liberarci”.
“La questione – ha aggiunto D’Asta – riguarda la vendita di gadget con frasi mafiose, magliette e calamite che inneggiano alla mafia, e non riguarda solo Ragusa. Perché i turisti devono acquistare questi gadget? È possibile che ci siano anche delle aziende che fanno della mafia un brand? Io dico che non è giusto. La mafia è sofferenza, prevaricazione, ingiustizia, non può essere un gadget da portare a casa. È una immagine di cui non sentiamo il bisogno. La Sicilia è altro, è arte, cultura e accoglienza e questo vorremmo che i turisti portassero con loro quando visitano la nostra terra”.
Adesso, dopo questa bella svolta culturale partita dalla città di Ragusa, è tempo di pensare in grande. Ecco perché l’idea è di esportare questa iniziativa non solo a livello regionale e nazionale, ma persino europeo. Lo stesso D’Asta, infatti, ha confermato di voler coinvolgere i deputati europei siciliani Pietro Bartolo e Caterina Chinnici, nella speranza che tale problematica venga portata sui tavoli dell’Unione Europea in modo che questa “possa essere una battaglia comune e condivisa da chiunque creda in questo che potrebbe risultare un cambio culturale”.
Prima di allora (i tempi potrebbero essere lunghi vista l’agenda fitta del Parlamento Europeo), sarebbe certamente un passo in avanti se tale iniziativa venisse emulata non solo da tutti i comuni siciliani, ma dalla Regione stessa. A tal proposito, infatti, alcuni consiglieri regionali di PD, 5 Stelle e IV avrebbero dato il proprio beneplacito ad un’azione condivisa che porti verso la rimozione totale di souvenir tanto denigratori da tutte le piazze siciliane.
Speriamo che tutto ciò possa portare a un risultato concreto, perché sarebbe un segnale di cambiamento importante e soprattutto porrebbe fine a una pratica commerciale che fa storcere il naso a tantissimi cittadini che in quei souvenir vedono un oltraggio verso chi contro la mafia si batte e si è battuto, con dedizione e sacrificio, fino alla morte. Bandire certe immagini o frasi non significa dimenticare la mafia o far finta che non esista, ma significa rendere onore a un’isola che, prima di tutte le altre regioni di questo Paese, è diventata avanguardia antimafiosa, rovesciando la narrazione stereotipata e banalizzante subita ingiustamente per decenni.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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