Negli anni ‘80, era comune, al cinema così come nelle pubblicità, oltre che nei pensieri dei bambini, disegnare l’idea di un futuro imminente, rivoluzionario, tecnologicamente sbalorditivo. Si parlava di auto volanti, teletrasporto, robot che potevano fare qualsiasi cosa. L’eccezionale progresso della tecnica: era questa l’immagine predominante di un futuro sempre più vicino. In effetti, il progresso c’è stato, magari non siamo ancora giunti alla città ipertecnologica immaginata da Robert Zemeckis in “Ritorno al Futuro – Parte II”, capitolo della saga cult di quegli anni, però di evoluzioni significative ne abbiamo viste e vissute tante. Evoluzioni tecnologiche che hanno cambiato la nostra vita, il nostro modo di organizzare il tempo, il lavoro, il modo di rapportarsi agli altri. È accaduto in tutto il mondo, è accaduto naturalmente anche in Italia.

Allo stesso tempo, in questi anni, al di là di alcune storture, è aumentata l’offerta informativa ed è cresciuta la coscienza rispetto a determinati problemi, come il clima o la condizione delle popolazioni dei Paesi più poveri, così come sono state indebolite alcune mentalità sbagliate sul tema dei diritti civili. Insomma, la tecnica non ha cancellato la resistenza dell’elemento umano, che ha trovato il suo corrispondente progresso. In un certo punto di questa retta temporale, però, qualcosa si è rotto, ha deviato direzione. L’indebolimento culturale, scientificamente prodotto da molti governi a danno dell’istruzione pubblica, unito alla crisi economica e a spinte individualiste sempre più forti, ha determinato un’inversione preoccupante, un salto all’indietro, dove minoranze rappresentate hanno avuto la meglio sugli altri, dove gli intellettuali sono scomparsi, fagocitati da un mondo veloce, ossessionato dal consumo di pensieri usa e getta, che per essere convincenti devono essere sensazionali, oscuri, polarizzanti.

C’è chi politicamente ha sfruttato e al contempo creato tutto questo, producendo un preoccupante ritorno indietro rispetto a valori che avrebbero dovuto ormai essere acquisiti e accettati da tutti. L’Italia attuale è l’esempio di questa giravolta, di un’inversione di marcia verso un passato che bisognerebbe lasciarsi alle spalle. Gli ultimi mesi e, ancor più, le ultime settimane sono state drammatiche da questo punto di vista. La pandemia ha esacerbato le divisioni già esistenti nel Paese, accentuando ulteriormente le pulsioni più tossiche. Le piazze, che negli anni passati stavano tornando a essere il luogo di rivendicazione democratica nei confronti dei governi, oggi sono diventate, in molte occasioni, luogo di oltraggio e di violenza squadrista. L’assalto alla CGIL, a un sindacato che rappresenta i lavoratori, le sfilate di neonazisti e neofascisti, l’orrida, consueta pantomima dei fascisti a Predappio, il pullulare di personaggi che inneggiano al regime, con i loro riti, i saluti, i tatuaggi, i simboli, ecc.

E ancora la smania securitaria di chi fomenta l’uso delle armi per una difesa che di legittimo ha sempre meno e di omicida ha molto di più. Oppure le rivendicazioni farneticanti di chi ripudia la scienza e il suo progresso per richiamarsi ad antiche pratiche che non garantivano la longevità favorita dalle cure attuali, complottisti, attorucoli senza più mestiere, ex generali grotteschi che sfilano liberamente per strada ed esprimono la loro sottocultura ma parlano di dittatura e oltraggiano la memoria con accostamenti ignobili. Infine, la politica, zeppa di piccoli personaggi mostruosi e di calcolatori codardi, che affossano una legge che aumentava le tutele per chi, quotidianamente, grazie anche al cattivo esempio di quegli stessi personaggi e dei loro sodali, subisce violenza, odio, discriminazioni. Tutto quello che certa destra di questo Paese, e una parte anche del centrosinistra, definisce, in modo beffardo e volgare, “diritto di opinione”.

Le scene primitive del Senato, dopo l’affossamento del ddl Zan, sono la ciliegina avariata su una torta zeppa di ingredienti scaduti. Ingredienti di una politica incancrenita, incatenata al suo peggior passato, con l’aggiunta di elementi nuovi, pericolosi, ottusi e scadenti. Figli di un tempo senza più sostanza, nel quale nemmeno più la forma si salva, dentro un palazzo lontanissimo dalla modernità alla quale una parte del Paese aspira. Su quanto sia consistente quella parte, basta vedere come hanno reagito le piazze, riempiendosi questa volta di luci, di parole d’amore, di intelligenza, di libertà vera, non quella urlata, starnazzata dal nugolo di no pass, no vax e altri che hanno perso il senso del ridicolo, ma da gente che davvero conosce sulla propria pelle la discriminazione, l’odio, l’esclusione. E non per via di un certificato che si può ottenere con un singolo e utile gesto, ma a causa di una nazione che cammina all’indietro, tra rigurgiti medievali e oscurantismo, in ogni ambito.

Non è dato sapere quanto indietro sia andata la popolazione, che fatica a svecchiarsi, in costante crisi demografica e ossessionata dal conservatorismo che da sempre permea la classe dirigente, con l’ingerenza delle gerarchie ecclesiastiche, oggi compatte nel contrastare persino il loro pontefice, tacciato di essere troppo moderno o semplicemente al passo con le nuove sfide della nostra epoca. Quello che sappiamo, però, anche guardando l’ampio ventaglio di forze politiche, sia quelle rappresentate in parlamento, sia quelle rimaste fuori, è che la classe dirigente e politica di questo Paese ha voltato le spalle al futuro, rimanendo impigliata, da ogni parte, in un passato ingombrante, che non appartiene alle nuove generazioni, alle quali però si continua a presentare il conto. Salatissimo.

Massimiliano Perna – ilmegafono.org