Le vicende degli ultimi anni danno innegabile conferma alla teoria della relatività del tempo. Provando a riportare alla mente le immagini, le sensazioni provate nel marzo 2020, ci rendiamo conto che per certi versi sembrano passati secoli, per altri, purtroppo, siamo rimasti tutti un po’ bloccati, come in una sorta di limbo temporale. Marzo 2020 costituisce una tappa di transizione nella vita degli italiani, da quel momento la vita è cambiata. Si è passati dalla libertà, dalla spensieratezza ad una nuova era fatta di paure e notevoli restrizioni. Nei primissimi giorni di quel mese tanto travagliato abbiamo assistito al dilagare del Coronavirus in Italia: è del 7 marzo 2020, infatti, il primo DPCM che ha dichiarato il lockdown generalizzato sull’intero territorio nazionale. Il Paese si è fermato, la gente è restata chiusa in casa, le borse italiane sono crollate e, in quel primo, terribile weekend di paura, si sono sviluppate rivolte in tantissime carceri italiane (in ben 70 istituti detentivi su 189).
I telegiornali mandavano in onda immagini surreali di strutture penitenziarie in fiamme ed informavano di morti tra i carcerati e di innumerevoli evasioni, si aveva la sensazione di essere stati catapultati in un film. Pochi giorni dopo, inoltre, l’allora capo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, Francesco Basentini, firmò una circolare che, con lo scopo di contenere l’emergenza sanitaria, consentiva la scarcerazione di quasi 400 detenuti, tra i quali anche boss in regime di 41 bis. Una decisione molto controversa che scatenò innumerevoli polemiche e che portò Basentini a dimettersi a maggio di quello stesso anno. Le primissime indagini avevano individuato come movente delle sommosse la sospensione delle visite parentali e, più in generale, l’inasprimento delle misure detentive per il contenimento del contagio da Covid 19.
Sono seguiti lunghi accertamenti investigativi, non solo sulle ribellioni, ma anche, su impulso del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, sul percorso che ha consentito l’applicazione della “circolare Basentini” a pericolosi criminali. Una circolare che però continua ad essere difesa da Basentini, il quale rigetta con forza le accuse mosse alle proprie decisioni. “Le rivolte a seguito dell’emergenza sanitaria – ha dichiarato – si sono verificate in quasi tutti gli Stati del mondo. In tutti i Paesi sono stati adottati gli stessi provvedimenti, peraltro imitando l’esperienza italiana. A questo punto dovremmo credere che c’è stata una trattativa con tutti i detenuti del mondo?”. Tuttavia in Italia la questione è molto diversa rispetto ad altre nazioni, anche per la presenza di ben quattro mafie autoctone.
Le indagini, infatti, coordinate dalla Procura nazionale antimafia, hanno finito per attribuire una matrice di stampo mafioso alle sommosse. Innanzitutto perché queste non si sono esaurite in quel weekend, protraendosi invece sino a fine aprile, ma anche per il carattere peculiare con cui le stesse si sono sviluppate. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, infatti, sembrerebbe che i boss di cosa nostra e della ‘ndrangheta non abbiano sostenuto le sommosse, a differenza dei camorristi e di altre mafie locali. “Le rivolte hanno disegnato una precisa mappa delle mafie italiane – ha dichiarato Sergio Nazzaro, investigatore con specifica esperienza nel mondo delle carceri – in Calabria non c’è stato quasi nessun problema, perché la ‘ndrangheta controlla le carceri e non voleva nessun problema”.
“In Sicilia- ha continuato Nazzaro – la mafia ha partecipato quasi simbolicamente (i problemi anche lì sono stati molto contenuti), una partecipazione di facciata. I problemi maggiori li abbiamo avuti a Napoli, in Campania, dove la camorra ha uno stile colombiano. Appena sono cominciate le rivolte, i parenti dei detenuti erano fuori, come se lo sapessero, anzi lo sapevano. Questo è sicuro. Si sono coordinati e hanno attaccato tutti insieme”. Del resto, non è la prima volta che gli addetti ai lavori mettono in guardia sul pericolo che gli attriti sociali provocati dalla pandemia finiscano con l’alimentare e accrescere la forza della criminalità organizzata. Appare dunque ormai certo che non è stata esclusivamente l’emergenza sanitaria a provocare quelle rivolte; non tutti i problemi sono riconducibili alla pandemia, la sua enorme colpa resta però quella di aver distolto l’attenzione dagli altri problemi, dagli altri nemici sociali non meno pericolosi.
Anna Serrapelle-ilmegafono.org
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