Da due settimane, a Cuba è in atto una massiccia protesta contro il governo. Non la prima nella storia del periodo post rivoluzione, ma sicuramente la più ampia. Una protesta popolare contro la durissima crisi economica vissuta dal Paese centro-americano, accentuata dalle conseguenze della pandemia. L’epoca castrista, dopo la morte di Fidel Castro e con il fratello Raul che si è messo da parte lasciando il posto al neo presidente Miguel Díaz-Canel, è entrata in crisi. Lo spirito della rivoluzione si è indebolito e la nuova guida dell’isola non è considerata abbastanza autorevole e affidabile dal popolo, che da tempo chiede riforme e che contesta alcune scelte in materia di economia interna compiute dal governo cubano. Gli USA, con Biden che non rimuove le sanzioni e che promette concessioni e aperture solo nel caso in cui cessi il regime castrista, hanno come sempre gli occhi puntati su Cuba, con gli esuli cubano-americani della Florida che chiedono al governo statunitense di sostenere le rivolte.
D’improvviso, naturalmente, l’attenzione mediatica mondiale si è spostata sulle proteste, da subito considerate il frutto della stanchezza della popolazione, della voglia di democrazia e di libertà da un regime autoritario. Politici, giornalisti, scrittori (alcuni dei quali più volte in passato hanno scritto inesattezze da matita rossa sulla storia cubana) ne hanno subito approfittato per banalizzare la vicenda, costruendo una chiave di lettura univoca e impacchettando una informazione ideale a sostenere le fortissime pressioni internazionali che gravano su Cuba. Pressioni delle quali si parla pochissimo o per niente, perché è più funzionale descrivere ciò che serve a chi da anni vuole mettere le mani sull’isola caraibica. Nella narrazione mainstream, infatti, ciò che risalta è solo la questione legata al regime, al castrismo, all’assenza di democrazia.
Tutte cose che sicuramente non sono campate in aria e vanno obiettivamente considerate e sottolineate, ma a condizione che la storia passata e attuale di Cuba venga raccontata per intero e non banalizzata. E che non si usino, ad esempio, i volti di chi in piazza è sceso a sostegno della rivoluzione, per poi spacciarli come sostenitori delle rivolte anti-rivoluzione (vero Saviano?). Di tutto parlano i politici nostrani e buona parte degli osservatori e dei giornalisti, non solo italiani, meno che di una cosa di primaria importanza: l’embargo che ancora grava sul Paese e le sue conseguenze che, con la pandemia, sono diventate esplosive. Obama aveva ridotto le sanzioni previste dall’embargo, aprendo rapporti positivi con Cuba, ma Trump le ha ristabilite nel 2017. Colpendo duramente anche le rimesse degli esuli cubani verso la nazione d’origine.
Bisogna ricordare che Cuba importa la grandissima parte dei suoi generi alimentari e dei medicinali. Vero è che medicinali e cibo sono stati ormai estromessi dall’embargo, ma è altrettanto vero che le restrizioni prevedono che Cuba possa acquistarli sui mercati internazionali solo in contanti e in valuta estera (dollari o euro). Per questo l’economia cubana vive grazie alla valuta straniera, che però oggi scarseggia anche a causa del crollo del turismo legato alla pandemia. Ecco perché il governo cubano aveva introdotto misure molto pesanti che potessero permettergli di reperire rapidamente valuta straniera. Altrettanto pesanti erano anche i dazi imposti sui beni alimentari e sulle medicine portate da coloro che rientrano a Cuba. Dopo le proteste, il presidente Diaz-Canel li ha dovuti abolire, consentendo dunque le importazioni private senza limiti di quantità.
Alle questioni economiche, poi, si aggiungono quelle sanitarie legate al Covid. La sanità cubana è da sempre considerata una delle migliori al mondo. Abbiamo visto come Cuba sia riuscita a inviare le sue équipe in altri paesi (inclusa l’Italia) per aiutare medici e infermieri impegnati in prima linea contro la prima terribile ondata del virus. Una scelta che gli oppositori del regime hanno ritenuto propaganda, mentre gli altri hanno vissuto come un grande gesto solidale, nel segno dell’antico spirito rivoluzionario. Resta il fatto che a Cuba, soprattutto a causa dei problemi di reperibilità delle medicine, per le ragioni sottolineate poco sopra, i medici non riescono più a far fronte all’emergenza Covid, con un aumento continuo e preoccupante di contagi e decessi. Una situazione drammatica che sta aggiungendo ansia e rabbia a una popolazione già stremata dalla crisi economica.
Sono questi i fattori che hanno spinto alle rivolte, con il governo cubano che dapprima è intervenuto con arresti e repressione e poi ha scelto una via più morbida, con le prime concessioni. Restano però tuttora sotto controllo i social network, considerati un detonatore importante delle proteste. Gli errori del governo, l’inadeguatezza del nuovo presidente, una economia fortemente nazionalizzata, una struttura sociale e politica non democratica sono sicuramente colpe del governo di un Paese che però, è bene non dimenticarlo, vive da oltre sessant’anni in una situazione difficilissima, sotto la continua minaccia degli americani, vessato da un embargo illegittimo, vergognoso, crudele che la comunità internazionale non è mai riuscita a far rimuovere del tutto, in quanto schiava del potere e dell’influenza degli USA. Fino all’ultimo caso eclatante, quello dello scorso marzo, quando alcune nazioni hanno presentato al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU una risoluzione sulle ripercussioni negative delle sanzioni economiche applicate contro alcuni paesi.
Si trattava della Risoluzione A/HRC/46/L.4, che chiedeva di fatto la fine della misura degli embarghi, compreso quello cubano. L’Italia, quella che oggi in buona parte critica Cuba, è tra i paesi che hanno votato contro. Il popolo cubano, dunque, prima di tutto, è stato punito dalle scelte economiche delle nazioni allineate con gli Stati Uniti. La fase Obama è durata poco, poi sono tornate le sanzioni restrittive e pesanti, che ora Biden continua a mantenere attive, creando imbarazzo e divisioni tra i democratici. La narrazione mediatica internazionale, ancor più quella italiana, continua a parlarci di Castro, di comunismo, di regime, dimenticando il blocco, l’embargo che, con la pandemia, ha assunto conseguenze drammatiche sul piano economico e sanitario. Ed è principalmente per quello, per una crisi che li sta mettendo in ginocchio, che i cubani sono scesi in piazza.
A Cuba la povertà è stata sempre qualcosa con la quale convivere con dignità per resistere all’arroganza e non piegarsi al ricatto violento e sporco del capitalismo. Oggi qualcuno, scientificamente, sfruttando il momento, ha scelto di stringere ancora di più la corda, per trasformare quella povertà dignitosa in miseria e disperazione. Una miscela efficace, una strategia utile a far implodere un Paese che, perso il suo leader rivoluzionario, inizia a vacillare e si muove su un equilibrio precario, dondolando su un filo sotto il quale, con le fauci spalancate, si sono già posizionati i coccodrilli, ossia le lobby politiche e i famelici investitori a stelle e strisce. Quelli che alcuni giornalisti e scrittori o tuttologi definiscono impropriamente democrazia.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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