Alla fine, su Cassibile, è tornato il silenzio. Come sempre, come ogni anno dopo la grande orgia mediatica, la caotica esplosione di dichiarazioni, promesse, scusanti, negazioni di responsabilità, tutto torna al suo posto. I braccianti continuano ad arrivare, cercano riparo dove possono, sperando di non subire l’ossessivo pressing del popolino o della legge. Luoghi vicini al borgo, dove i caporali scelgono e le aziende attendono, pronte a pagare gli “intermediari” e a riempire le proprie campagne di manodopera i cui diritti esistono solo sulla carta, sui contratti farsa. Perché a Cassibile, come in tante altre aree rurali di questa isola e di questo Paese, la farsa è quotidiana. La parata ipocrita, che di solito precede o segue il Carnevale, si svolge ogni anno con le stesse trame.

Istituzioni, sindacati, prefetti, aziende, politica, associazioni, capipopolo e comitati si lanciano accuse, recriminano meriti, scaricano responsabilità, chiedono interventi, parlano di “sicurezza” (e quasi mai di diritti), qualcuno parla perfino di “modello Siracusa”, qualcun altro arriva persino a negare l’esistenza del caporalato e dello sfruttamento. Tutti si aspettano soluzioni, ma nel frattempo arrivano solo palliativi insufficienti.

Anche quest’anno, nonostante i soldi stanziati e le iniziative (per niente originali) della prefettura, non cambierà nulla. Ai primi di aprile inizierà il periodo clou della stagione e, sebbene qualcuno abbia deciso di rinunciare, con tutta probabilità arriveranno tra i 300 e i 350 braccianti, manodopera fondamentale per le aziende e per l’economia della zona. Anche quest’anno, i braccianti troveranno un po’ di solidarietà e nulla più. Niente diritti, niente luoghi umani e salubri nei quali riposarsi prima e dopo il lavoro, niente soluzioni, se non per quei 60 fortunati che riusciranno a entrare nel campo che il Comune dovrebbe inaugurare a breve. Niente sportelli per il collocamento, niente navette per evitare il bestiale traghettamento dei caporali verso i campi, niente case in affitto, niente solidarietà da quella parte di Cassibile che è rappresentata da chi usa i braccianti per pompare odio a scopi politici.

Intanto, per il momento, è calato il silenzio, a parte qualcuna delle solite ovvietà. Come se tutto fosse finito, come se tutto si fosse risolto. Come se, dopo lo sgombero, a Cassibile non ci fossero più lavoro né lavoratori. Su Cassibile è calato un bel velo di ipocrisia per allontanare le voci dei braccianti che non arrivano mai e si spengono tra il freddo e la solitudine delle campagne, delle grotte, dei luoghi di riparo. C’è chi, essendo venuto in auto da altre zone di raccolta, ha dormito nella propria macchina fino a quando non ha trovato un letto e una doccia dentro una parrocchia. C’è chi si è sistemato a casa di amici, godendo della solidarietà di altri lavoratori. C’è chi dorme nuovamente in campagna, in terreni diversi da quelli del marchese dai quali sono stati sgomberati i lavoratori, e passa le notti sperando di non essere visto o denunciato. C’è chi ha scelto altri luoghi più isolati, ma sempre nei dintorni di Cassibile, perché è lì che c’è il lavoro. È lì che vieni scelto ed è lì che i capi o i sottocapi ti caricano al mattino per portarti in azienda.

Succede da circa venti anni. Accade ogni anno, indipendentemente dalle voci, dalle dichiarazioni, dalle promesse, dai soldi che non si spendono, dai compitini timidi, dai presunti rivoluzionari e dalle aspiranti rivoluzionarie con la tessera, dalle soluzioni monche e dalle volontà politiche che non si tirano fuori da un pantano pieno di incompetenza, arroganza e codardia. I braccianti sono sempre e comunque lì, ormai indifferenti al silenzio al quale sono abituati. Stanchi e feriti ma anche maledettamente stretti dal bisogno, un bisogno dannato che afferra il loro collo e strozza i loro sogni di ribellione e affrancamento. Soli, dentro una provincia che ha dimenticato le lotte, che ha smarrito la forza delle idee e delle azioni a sostegno degli ultimi e degli sfruttati. Ora che il silenzio è calato, ora che le dichiarazioni si sono sgonfiate, a Cassibile resta solo il clima pesante nei confronti dei lavoratori e di chiunque si occupi di loro e dei loro diritti.

Un clima preoccupante, a dieci giorni dall’inizio del picco. Un clima nel quale risuonano solo le minacce dei capipopolo, con le aziende che tacciono di un’omertà indecente e i sindacati che parlano di grammatica ma dimenticano il loro ruolo e i loro doveri, l’ampiezza potenziale di una loro azione di lotta, anche su base regionale, E il Comune? Il Comune continua ad andare nella sua direzione instabile, quella che da un lato parla di accoglienza e solidarietà e dall’altro accetta passivamente gli sgomberi, giustifica indegnamente i propri ritardi e le proprie inadempienze, gioca a tirar la giacca alla prefettura o ad allargar le braccia, implorando i comuni limitrofi, come se Cassibile fosse solo uno snodo e non il nodo centrale dello sfruttamento che si compie dietro la porta della città “dei diritti umani”. Tutto rimane praticamente com’era.

Si faranno ancora tavoli inutili, incontri pieni di parole e intanto la stagione andrà avanti. Si dirà che ormai è troppo tardi, che per quest’anno “è andata così”. Lo dissero anche l’anno scorso, quando la soluzione fu individuata in qualche bagno chimico, nei rubinetti dell’acqua, in qualche cassonetto e nella luce per ricaricare i cellulari. Tutto ciò che serviva, insomma, per evitare che i braccianti andassero al centro del borgo e facessero indispettire, con la loro presenza, la gente. “Quest’anno ormai è andata così”, è una delle frasi più ricorrenti riguardo a Cassibile. Una frase che sigla, annualmente, il ritardo delle istituzioni e l’assenza di soluzioni reali. Non ci si illuda che il rumore ascoltato sui media possa far cambiare le cose. Perché era solo rumore, non c’era la minima idea di una soluzione equa e a vantaggio dei lavoratori.

Possiamo essere certi che se a Cassibile dovesse accadere qualcosa, direbbero tutti che non sapevano, che non potevano immaginare. Fa parte della grande farsa che, come sempre, ciascuno con il proprio ruolo, va in scena tra febbraio e la fine di giugno, giusto il tempo che la raccolta si svolga, che le aziende abbiano braccia al loro servizio per non lasciare le patate a terra, e le istituzioni possano dire di aver fatto il possibile. “Quest’anno ormai è andata così”. L’anno prossimo, invece… vedrete.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org