Qualche giorno fa, la procura di Napoli Nord e l’Istituto Superiore di Sanità hanno reso noti i frutti di un’indagine che era cominciata nel 2016 nel territorio tra la provincia di Napoli e quella di Caserta, tristemente noto come “Terra dei fuochi”. Il rapporto evidenzia quello che per i cittadini campani, e non solo, era ormai un segreto di pulcinella: l’esponenziale aumento di tumori in quella zona è stato direttamente causato dalle migliaia di tonnellate di rifiuti che negli anni sono stati bruciati o interrati. Si tratta di un territorio occupato da 38 comuni, dove nel corso degli anni sono stati rilevati 2767 siti di smaltimento abusivo. Per avere un’idea di quanto la popolazione sia coinvolta in questo olocausto ambientale, si pensi che circa un cittadino su tre abita a meno di 100 metri dal sito più vicino.
Di terra dei fuochi si parla dal 2003, con l’accezione che fu introdotta dal rapporto ecomafie di Legambiente. Ne hanno parlato anche celebri firme come Roberto Saviano, ma soprattutto ci sono state indagini serie e precise, condotte già a metà anni ’90 da poliziotti come Roberto Mancini, che per quelle indagini è morto. Nonostante ciò, per accertare questa diretta concausa ci sono voluti quasi 20 anni e migliaia di morti, vittime dirette della camorra e del capitalismo sfrenato. Adesso che ci sono le prove risulta urgente intervenire con provvedimenti di controllo, attraverso “lo sviluppo di un sistema di sorveglianza epidemiologica integrata con dati ambientale dell’intera Regione”, e finalizzati alla soluzione del problema con “azioni di bonifica ambientale”, stando alle considerazioni del presidente dell’ISS, Silvio Brusaferro.
Anche le associazioni si sono mobilitate con proposte concrete alle istituzioni. In seguito alla pubblicazione del rapporto, l’associazione Stop Biocidio ha invocato un’assemblea regionale per ascoltare e coordinare tante associazioni ambientaliste della Campania e chiedere “bonifiche immediate, efficaci e trasparenti; screening di massa per la popolazione; un piano straordinario di vaccinazioni per tutti quelli che a causa di questo disastro si trovano con un sistema immunitario compromesso e un’immediata riconversione del sistema di gestione dei rifiuti”. Bisogna considerare inoltre che sono diverse le situazioni di degrado ambientale in Campania. Basti pensare al fiume più inquinato d’Europa, il Sarno, che bagna 39 comuni tra le tre province di Avellino, Salerno e Napoli. Anche su questa questione si è in attesa da circa 50 anni di studi epidemiologici più approfonditi, come quello appena concluso nel casertano. Ciò nonostante, è stata dimostrata la pericolosità dell’altissima concentrazione di cromo nell’acqua che arriva a superare di decine di migliaia di volte i limiti di legge.
Dalle istituzioni ci si aspetta serietà e impegno che vadano oltre le chiacchiere delle campagne elettorali, pregne di promesse al vento sulla tutela ambientale e sulla salvaguardia della salute. Temi che oggi più che mai sono correlati. La Campania è in ginocchio e conta a migliaia le vittime dell’abbandono istituzionale e del campo libero lasciato alla criminalità per decine e decine di anni. In un contesto così avvilente risuonano provocatorie e fuori luogo le considerazioni irridenti del presidente della Regione, De Luca, sull’istituzione del Ministero della transizione ecologica, il quale si spera segua le orme di altre fortunate esperienze in Europa. L’augurio è che il nuovo governo nazionale intervenga in maniera netta in Campania con un piano d’azione dettagliato per cercare di incominciare a tracciare la strada per porre fine al biocidio attualmente in atto su più fronti. L’appello è chiaro: fate presto.
Vincenzo Verde -ilmegafono.org
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