Un anno di ingiustizie, dolore e sofferenza. No, in questo caso non si parla della pandemia che ha messo in ginocchio l’intero sistema economico e sociale su scala globale, ma dell’inaccettabile anno di detenzione di Patrick Zaki. Il 7 febbraio 2020 lo studente egiziano, iscritto all’Università di Bologna, venne arrestato mentre si recava a Mansoura, città dove è nato, per una breve vacanza. L’accusa con la quale fu messo agli arresti nel carcere di Tora, alla periferia del Cairo, era quella di propaganda sovversiva, giustificata con dieci post su Facebook a lui attribuiti nei quali veniva messo in discussione il violento regime del presidente Abdel Fattah al Sisi.
Questi post non sono mai stati mostrati alla difesa, probabilmente perché inesistenti o poiché risulterebbe subito evidente che l’account non fosse gestito dallo studente. A tal proposito sono particolarmente esaustive le considerazioni dell’avvocatessa Huda Nasrallah in occasione della prima udienza: “Lo accusate sulla base di un profilo Facebook falso. L’avete torturato sei ore in aeroporto. L’avete interrogato senza difensore. Gli imputate cose accadute in Egitto mentre lui era in Italia”.
Ad oggi, complice un sistema giuridico antiquato e completamente piegato al regime egiziano, Patrick è ancora rinchiuso in detenzione preventiva, che in Egitto può durare fino a due anni, in attesa di un processo la cui attendibilità sembra compromessa in partenza. Secondo alcune testimonianze lo studente sarebbe stato interrogato con metodi che violano ogni sorta di protocollo internazionale e detenuto in condizioni che rientrano perfettamente nel concetto di tortura. Ma perché Patrick Zaki è stato incastrato? Probabilmente per le sue idee. Patrick da sempre era attivo per la parità di genere e la lotta alle diseguaglianze nei confronti delle minoranze.
La storia di Patrick in questo lungo anno ha fatto il giro del mondo. Le istituzioni internazionali hanno più volte richiesto al governo egiziano di rilasciare lo studente, in una lotta per i diritti umani che non può avere colore politico. Anche alcune star di Hollywood come Scarlett Joahnsson si sono schierate dalla parte di Patrick. Amnesty International ha seguito il caso fin dal principio lanciando numerose iniziative di sensibilizzazione e raccoglimento popolare alle quali hanno aderito anche l’Università di Bologna e il Comune del capoluogo emiliano. Quest’ultimo a gennaio ha concesso la cittadinanza onoraria a Patrick Zaki.
In concomitanza con il triste anniversario dall’arresto di Zaki sono spuntati numerosi appelli partiti da varie associazioni, ma anche da privati cittadini, affinché altri comuni e sindaci seguano l’esempio del capoluogo emiliano. È stato promosso anche un mail bombing, un invito a scrivere ai sindaci della propria città per chiedere che diano a Patrick la cittadinanza onoraria. Grazie a questa grande mobilitazione anche la città di Palermo, in settimana, ha conferito lo stesso riconoscimento allo studente, nella speranza, parafrasando le parole di Orlando, “che possa presto ritirarla di persona”. Ma quando effettivamente sarà possibile?
Vincenzo Verde -ilmegafono.org
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