Le parole sono davvero troppe e non servono più. Non serve parlare né esprimere emozioni, quando tutto il resto non si muove più. L’Europa è un corpo immobile, con il cuore gelato e le braccia conserte e incrociate. Un corpo morto dentro il quale i suoi organi sono marciti per egoismo e crudeltà. L’Italia ne è parte e vive la stessa condizione. L’Europa muore dentro la storia costante della propria indifferenza. Un corpo pesante e fermo, che però continua a distribuire ingiustizie, parole, promesse, impegni. Un corpo immobile come l’Italia, che dell’Europa è lo sguardo, rivolto verso il Mediterraneo. Un mare nel quale si muore ancora, si muore di disperazione, perché ormai anche la speranza sembra ghiacciata, come il freddo che entra nelle ossa dei naufraghi e nella loro agonia davanti a un Continente chiuso ed egoista.
Troppe parole, nuovamente, davanti all’ennesima tragedia. Troppa ipocrisia, emotività sterile che scompare nel giro di poche ore, così come scompaiono le esistenze, davanti al dolore e alla rabbia dei pochi soccorritori rimasti a salvare più persone possibili. I soccorritori di quelle ong alle quali Europa e Italia fanno ancora la guerra, perché sono l’unico testimone delle responsabilità di un genocidio senza fine. Un genocidio che si compie da anni e che oggi, per mostrarsi tangibile, fatto di carne e ossa, e trovare spazio in mezzo alla narrazione ossessiva della pandemia, ha bisogno dell’ennesimo simbolo, del corpo di un bambino di pochi mesi. Toccò ad Alan Kurdi nel 2015, poi ad altri di cui la memoria è stata consumata brevemente, e adesso è toccato a Joseph. Un altro nome su un corpo che sembra non appartenere alla nostra coscienza. Un nome davanti al quale piangere o scrivere l’ennesimo post di rabbia.
Un nome che ci giunge solo perché si è spento dinnanzi a testimoni e perché il mondo ha sentito e visto la disperazione della madre. Sono emozioni quelle che esprimiamo. Sincere o meno, rimangono solo emozioni. Che si bruciano in fretta. Allora Joseph presto sarà solo un nome legato a un ricordo, un simulacro drammatico del passato, come lo è stato Alan. Di Alan ricordiamo l’immagine, ma la gran parte di coloro che lo hanno pianto o hanno condiviso quella foto straziante, non sanno più niente di quello che accade tra Grecia e Turchia, di quanti altri morti ci sono stati dopo e ci sono ancora su quelle coste, di quali siano le condizioni dei migranti. Né sanno qualcosa di come l’Europa continua a sbattere la porta in faccia ad altri Alan, a bambini, donne e uomini in fuga dall’orrore.
Il fatto è che c’è un’insopportabile abitudine a relegare il dramma esclusivamente all’ambito emotivo, un egoistico bisogno di espellere sentimenti di indignazione e dolore per costruirsi un alibi, per non sentirsi parte di quell’orrore. Che invece è pienamente nostro, ne siamo coinvolti, per ignavia, per non aver fatto abbastanza. Per aver accettato il compromesso sulle vite umane. Non noi singolarmente, magari, ma noi come comunità. Abbiamo accettato una revisione parziale dei decreti sicurezza invece della loro necessaria cancellazione. Abbiamo accettato che, a parte la diminuzione delle multe, le ong rimanessero ancora sotto la spada di Damocle di un codice di condotta vergognoso. Abbiamo accettato la prosecuzione dei fermi, delle navi bloccate nei porti per cavilli burocratici, per gli effetti di quelle leggi vergogna che sono ancora in essere. Abbiamo accettato la codardia di un governo che ha paura di cambiare le cose per non perdere il consenso degli elettori moderati, che moderati poi non sono, perché sono degli estremisti dell’odio.
Abbiamo lasciato che si mantenesse in vigore il memorandum Italia-Libia, riconoscendo ai libici il potere di disporre delle vite di migliaia di esseri umani. Abbiamo lasciato che passassero 11 ore tra l’allerta lanciata dalla ong Open Arms alle autorità (anche italiane) e la morte di Joseph. Quel Joseph per il quale ora versiamo lacrime, ma che è semplicemente uno dei tanti bambini ed esseri umani sui quali lasciamo che si versi l’indifferenza quotidiana dei governi e l’odio ferale delle opposizioni e dei loro malefici seguaci. Abbiamo lasciato Joseph 11 ore, senza intervenire, nonostante la richiesta urgente di Open Arms, che aveva soccorso i naufraghi, di avere assegnato un porto di sbarco e di far evacuare dalla nave una donna incinta di 7 mesi e due bambini, tra cui appunto Joseph, in gravi condizioni. Niente. Joseph è morto così, in attesa di un’Europa che fosse capace di umanità. Un’attesa vana. Che dura da anni.
Ecco perché le parole, i post, le vignette non valgono più niente. Perché non colmano la rabbia e il dolore. Nessuna istituzione ha chiesto scusa, nessuna istituzione ha detto “basta”. Nessun governo ha detto “cambiamo direzione”. Anche il nostro governo tace, così come tacciono le forze di maggioranza. Allo stesso modo di come tacciono, dopo pochi giorni da questo naufragio, i tanti indignati (in buona fede) della prima ora. Hanno già svuotato il loro dolore, la loro emozione, dopodiché sono tornati alle proprie vite, ai problemi, alle notizie sul Covid. Fino al prossimo bambino che ci permetterà di accorgerci per un attimo, per qualche ora, della carne viva di questo genocidio. Che ogni giorno uccide. Non solo i bambini.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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