È noto che per un corpo già malato è molto faticoso affrontare e superare un’altra malattia. Ecco perché, se ad essere profondamente ammalata è la società, pensare che una pandemia possa renderla migliore, curarla, ristabilirne la salute è pura utopia. Ci abbiamo creduto in tanti, forse perché da anni ci trovavamo nella palude di un sistema economico, politico e sociale crudele, che questo virus ha messo a nudo, smascherandone i difetti. Forse, mentre le nostre caviglie, le ginocchia, le cosce erano già ricoperte dalle sabbie mobili della stanchezza e della rassegnazione, abbiamo pensato che l’elemento esterno, la variabile imprevista, potesse costringerci a cambiare tutto, a ricominciare a tendere le mani, magari a spezzare l’individualismo per tornare alla solidarietà. L’elemento umano più elevato, insomma, quello capace nel tempo di diventare storia, esempio, svolta. Ma era solo un’illusione.
Ci siamo illusi di ritrovarci, già durante la pandemia, dentro un mondo migliore, un Paese migliore. E invece abbiamo assistito e assistiamo, senza protezioni, allo scempio di cui questa società è capace. Alle esclusioni che sono ancora più ampie, alle solitudini più solitarie, alle superficialità irresponsabili, ai conflitti, a una temperatura che sembra sempre sul punto di far scoppiare la pentola a pressione del nostro tempo. Lasciando da parte negazionisti, turboidioti e complottisti vari, che sono i primi nemici della verità che dicono di voler cercare, l’epoca del Covid-19, quando sarà alle spalle, meriterà comunque approfondimenti e riflessioni. Su tutto, su come è stata affrontata dai governi, su quali lezioni davvero avremo compreso e se le avremo comprese, ma soprattutto su quale società ci avrà riconsegnato. Se enormemente peggiorata o semplicemente identica, con gli stessi vizi a guidarla.
La solidarietà, espressa con frasette sterili e irritanti che sono diventate mantra troppo presto, ha lasciato in fretta spazio al cinismo, all’indifferenza. Gli anziani e i malati cronici sono diventati il bersaglio di chi ha deciso unilateralmente che il mondo deve andare avanti senza troppe cautele, perché tanto un vecchio prima o poi deve morire, che sia Covid o meno. Certi discorsi li abbiamo sentiti tutti, abbiamo misurato il fastidio altrui di dover rinunciare alla propria libertà per “colpa” del rischio di mettere nei guai chi ha una certa età o chi ha malattie pregresse. Come se valessero meno, come se la vita di un giovane fosse sacra e quella di un anziano fosse lisa come un cappotto sgualcito da smaltire in fretta. Una sorta di selezione per età, una selezione spietata e amorale tra la vita di un giovane in salute che non ha costruito nulla e quella di un anziano che ha dietro di sé una serie lunga di legami. Un nonsenso, che per fortuna negli ospedali italiani non ha trovato applicazione.
Ma è solo uno dei segnali negativi che la pandemia consegna al nostro quotidiano. Non c’è, infatti, soltanto l’egoismo di chi non si pone nemmeno il dubbio, di chi non riesce a comprendere che non è necessariamente per noi che viviamo, ma anche per gli altri. Un assunto, quest’ultimo, che purtroppo scricchiola nella coscienza collettiva di un mondo sempre più a spinta individualista, sempre meno avvezzo alla comunità, al bene della comunità e dell’ambiente in cui si svolge. Un mondo che ha perso la libertà da decenni, schiacciato da modelli di consumo che hanno penetrato la psiche umana fino a spingerla a forza sotto la crosta terrestre, e che ora rivendica libertà miseramente, scambiando le gabbie delle coscienze con una mascherina da pochi spiccioli. La libertà è un tema serio, un tema che certamente anche i governi dovrebbero porsi e che è molto più profondo di una mascherina da indossare o da un saluto da evitare.
Sia chiaro, siamo lontanissimi dalle farneticazioni dei complottisti, dalla loro ignoranza, dal loro ridicolo gridare al regime. Ma la libertà non è un tema da trattare con sufficienza. Perché non basta dire “zitto e obbedisci”, soprattutto se le regole non sono chiare. Non è con il panico (che non è mai giustificato, se si usa un approccio scientifico) che si gestisce una pandemia. Non è con la privazione costante di pezzi di libertà che si possono mascherare le proprie debolezze. Un lockdown totale è bastato e chi ne propone un altro rischia di assumere tratti sadici. In un Paese in enorme crisi e da sempre pessimo sul tema dei controlli e del rispetto delle regole, incapace, dopo sette mesi di pandemia, di organizzare una prevenzione di massa attraverso le unità sanitarie territoriali; in un Paese nel quale la sanità è stata per decenni serbatoio di corruzione, scambio politico, lottizzazione, di sprechi di denaro pubblico; in un Paese che la sanità pubblica la pone ormai costantemente sotto il capitolo dei tagli a vantaggio dei privati, non si può pensare di scaricare tutto sulla pelle e sulla vita dei cittadini.
Soprattutto se chi, come nel caso ad esempio del gruppetto al comando della Regione Lombardia, viene beccato con le mani nella marmellata di un potere gestito in maniera oscena, di cui la pandemia è stata solo un pezzo di una fotografia indecente, non fa alcun passo indietro, non si assume alcuna responsabilità. La sola idea del coprifuoco, che sta prendendo piede in molti Paese e anche in alcune regioni, è barbarie pura, oltre che piuttosto inutile. Così come sono perfettamente inutili le riduzioni di orario dei pub o le paventate chiusure delle palestre e delle piscine: perché tutto questo potrebbe evitarsi semplicemente costringendo prefetture ed enti locali ad eseguire controlli e sanzionare chi non rispetta le regole.
Non ha senso indignarsi per la mascherina non indossata se poi si lascia che in alcune fabbriche i lavoratori continuino a lavorare senza la necessaria sicurezza. Si minacciano ristoratori e bar, si fermano gli sport dilettanti e di base, si parla di didattica a distanza ma si lasciano aperte le sale scommesse e bingo, molte delle quali in mano ad ambienti borderline, o le industrie belliche, che certo non rientrano tra le attività essenziali. Insomma, così come si è apprezzato e applaudito lo sforzo del governo nella prima fase della pandemia, oggi non si possono accettare in silenzio la confusione e l’incoerenza di certe scelte e soprattutto la costante minaccia di rinchiuderci ancora tutti, solo perché non siamo capaci di far rispettare le regole ad altri (compresi i leader irresponsabili delle opposizioni).
Con la libertà non devono scherzare i negazionisti, ma nemmeno i governi. Perché una nuova chiusura avrebbe effetti drammatici, come già ne ha avuti, non solo sul piano economico ma anche su quello della salute mentale e dello stato psichico di molti cittadini, per i quali isolamento e casa non sono condizioni sempre semplici da superare. Ecco perché da questa pandemia, l’unica lezione che avremmo dovuto imparare era quella della solidarietà e del bene comune. Perché era la sola maniera di trovare soluzioni umane capaci di tutelare tutti. Certo ci sarebbe stato bisogno di una classe politica, soprattutto all’opposizione, dotata di buonsenso e di responsabilità, piuttosto che di frenesia elettorale populista. E magari anche di un mondo industriale meno egoista e strafottente e meglio rappresentato.
Purtroppo la pandemia, ai tempi del conflitto perenne, della campagna elettorale infinita, delle guerre di posizione a scapito dell’interesse collettivo, non ha prodotto alcun effetto positivo a compensazione dei danni e dei dolori procurati. Purtroppo oggi ci accorgiamo che la pandemia è solo un amplificatore, un’arma in più da donare al conflitto, una nuova malattia dentro a un corpo già irrimediabilmente malato.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org