Un nuovo, duro colpo è stato inferto nei confronti di cosa nostra da parte del Tribunale di Palermo all’alba di martedì scorso. Al termine dell’operazione “Eride”, i Carabinieri del Nucleo Investigativo palermitano, in collaborazione con la Dda, sono infatti riusciti ad arrestare ben 15 esponenti appartenenti al mandamento di Pagliarelli, uno dei più potenti e temibili del capoluogo siciliano. Per gli arrestati, l’accusa è di traffico di stupefacenti con finalità mafiose. Il blitz ha permesso di far luce sul mondo dello spaccio a Palermo e provincia: secondo gli inquirenti, infatti, i mafiosi avrebbero raggiunto un accordo tra famiglie per la gestione e la vendita della droga stessa, così da evitare possibili faide o incomprensioni che ne avrebbero minato la potenza e la capillarità sul territorio.
Dall’indagine, tra l’altro, emergerebbe che a decidere chi avrebbe venduto gli stupefacenti sarebbe stato il boss Filippo Annatelli, uomo d’onore della famiglia mafiosa di corso Calatafimi, il quale avrebbe dato il via a un vero e proprio cambio generazionale, soprattutto a seguito di numerosi arresti che all’epoca avevano rischiato di smantellare del tutto l’organigramma mafioso. Proprio di arresti si parla in alcune intercettazioni effettuate dai Carabinieri nei confronti di un esponente del mandamento, Vincenzo Cascio.
L’uomo, al colloquio con un amico, si sarebbe lamentato delle ingenti perdite a fronte di guadagni più o meno risicati, perdite che sarebbero state causate da arresti e sequestri sempre più frequenti e mirati ad indebolire lo stesso clan. Per la prima volta in diversi anni ci ritroviamo di fronte ad un’organizzazione mafiosa che “riconosce” di vivere delle difficoltà importanti. Non capita spesso di sentire elementi di una cosca criminale preoccuparsi in maniera così diretta e specifica delle operazioni di prevenzione e di contrasto da parte della giustizia. Sembra quasi un’ammissione di superiorità altrui, una preoccupazione vera e forte e questo lo si può raggiungere soltanto se si riesce ad intaccare gli interessi economici e finanziari dell’organizzazione stessa.
Certo, gli arresti in sé non risolveranno il problema annoso che ci ritroviamo a combattere ogni giorno, ma è altrettanto vero che in casi del genere (dove lo spaccio della droga è un elemento importante per la sussistenza della cosca locale) è possibile infliggere colpi notevoli e di grossa portata, diretti alle tasche dei mafiosi. Molto altro può esser fatto nella lotta alla mafia, questo è certo. Intanto, l’ammissione di debolezza di alcuni esponenti di spicco, offre positività e speranza. La lotta deve andare avanti e toccare i soldi delle cosche, il vero punto di debolezza del potere criminale.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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