Che quasi la metà degli italiani voglia l’uomo solo al comando, ce lo ha detto qualche mese fa il Censis. Il 48% dei nostri connazionali, secondo quanto emergeva dal rapporto, voleva un uomo forte al potere, capace di agire senza badare troppo al parlamento, ossia alla democrazia. Un campanello d’allarme che il Coronavirus sta confermando sotto molti aspetti. Attenzione, non ci si riferisce alla fiducia in costante crescita per Conte, che non è uomo solo al comando o padre di un regime totalitario come sostiene qualcuno, ma presidente di un consiglio di ministri che ragiona e decide collegialmente. Una collegialità fatta di ascolto e condivisione e che, al di là dell’iniziale ritardo e di qualche errore, ha permesso di affrontare con sobrietà e graduale risolutezza un momento drammatico e imprevedibile, durante il quale l’Italia ha mostrato, nonostante le difficoltà, di rispondere e agire con fermezza contro il contagio.

Il riferimento qui è ad altri e dimostra che gli italiani, in generale, rimangono gli stessi. Almeno quella parte di cittadini che continua a preferire il pugno duro al ragionamento, la notizia non verificata alla verità. Il virus non ha cambiato in peggio né le persone né tantomeno la classe politica di questo Paese. Chi aveva senso delle istituzioni è rimasto tale, degli altri invece il virus ha semplicemente amplificato i difetti, le miserie, gli eccessi che erano il nervo scoperto della nostra dimensione nazionale già prima della pandemia. Questo virus ci ha fatto vedere anche i pregi, certo, il senso civico, l’eroismo civile, l’umanità di tanta gente, che però di quell’umanità e di quel senso del dovere davano già prova prima, solo che prima non trovavano appoggio, sostegno, ascolto da chi oggi prova a mimetizzarsi dentro una retorica ipocrita.

Uomo forte, si diceva. Sceriffo, giustiziere, ranger. Qualsiasi icona immaginaria o cinematografica viene riesumata da chi, alla logica del buon governo e alle eventuali rimostranze di natura istituzionale, preferisce l’emotività artefatta del tribuno, l’ardore cazzuto del capopopolo. Al netto degli appelli sacrosanti che vanno condivisi e ascoltati, ci sono alcuni governatori e sindaci che, nell’Italia del Covid-19, si sono lasciati un po’ prendere la mano, smettendo di parlare come si conviene a chi occupa un ruolo di responsabilità che richiede buonsenso e razionalità, e scegliendo invece di agire come un qualsiasi cittadino spaventato, arrabbiato, irrazionale. Ma non è una scelta sincera, non è vera rabbia. Semplicemente è un gioco politico, una strategia di fabbricazione del consenso. Propaganda. Niente di nuovo sotto il sole, insomma. Si usa la paura dei cittadini (del tutto reale e giustificata in questo caso) per costruire scenari nei quali l’informazione è vera solo in parte, mentre il resto è frutto di una perfida ricostruzione funzionale al proprio disegno.

Per una strategia che funzioni, naturalmente, c’è sempre bisogno di qualcuno che incarni il nemico, il portatore concreto di quella paura. Fino a un mese fa era il migrante, lo straniero, colui che era accusato di portare malattie, crimini, violenza, un’accusa costruita a tavolino, gonfiata da notizie false e slogan, creduta dal popolo nonostante i dati reali la smentissero costantemente. Insieme a loro, negli ultimi anni, sono diventate bersaglio anche le ong, cioè chi rimaneva dentro la realtà e cercava di fare il possibile per salvare vite umane, per togliere alle vittime l’etichetta ingiusta di colpevoli. Anche le ong sono state circondate da infamie, i volontari descritti come dei criminali, accusati di tutto, sottoposti a inchieste che ne hanno poi certificato l’innocenza. Le stesse ong che oggi (spiegatelo a Bruno Vespa) sono in prima linea nelle città italiane per dare il proprio contributo alla lotta contro il Covid-19. L’odio verso migranti e ong è rimasto ancora vivo, non è stato cancellato dal virus, ma si è momentaneamente diretto altrove. I bersagli oggi sono diventati i possibili contagiati, i potenziali untori.

Nel Paese delle migliaia di morti, non c’è spazio per il cordoglio e per l’umanità. C’è solo tanta paura, che qualcuno, per un proprio calcolo, sta rendendo odio. Nel Paese dell’allergia alle regole, è giusto pretendere comportamenti individuali responsabili e quindi essere netti e severi con chi viola le regole, ma è inaccettabile che si arrivi a creare terrorismo a fini politici. Le scene vergognose di alcuni sindaci e governatori che usano parole feroci diffondendo anche false notizie, sono il segno di un Paese in cui uno dei problemi consiste nell’avere una classe politica in parte inadeguata. Vedere dei sindaci per strada che, a favore di fotocamera o telecamera, senza mascherine, vanno a redarguire i cittadini fa venire in mente le tecniche più elementari e misere di propaganda. Vedere gli sfoghi sul web di rappresentanti istituzionali che diventano fenomeni di comicità fa pensare a quanto sia povera una parte della comunità politica.

Ancora peggio è assistere a sindaci che pensano di sostituirsi alle forze di polizia o a governatori che minacciano i cittadini con parole censurabili, solo per un po’ di visibilità e per produrre polemiche politiche in un momento nel quale il dialogo e l’educazione dovrebbero essere alla base di una vocazione unitaria in questa lotta contro il virus. Il problema peggiore, però, è che questo modo di fare paga a livello di consensi. Perché si basa sulla difficoltà di comprensione delle notizie e dei fatti di una parte degli italiani. Gli stessi che applaudono non solo agli sceriffi e ai fenomeni da baraccone del web, ma anche a chi come qualche militare esaltato, approfittando delle concesse limitazioni alle libertà individuali, prova a inserire elementi autoritari e a suggerire soluzioni golpiste che rimangono lì ad aleggiare sul web e nel cervello della gente.

Anche a questi virus dobbiamo prestare elevata attenzione. Di questi virus, dopo la fine della pandemia, dovremo occuparci, perché qualcuno li sta alimentando. E sono ancora più difficili da far sparire e altrettanto pericolosi.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org