C’è qualcosa che è di gran lunga più infettivo di un virus influenzale violento: è la narrazione tossica che si costruisce attorno a quel virus. Da giorni non si parla d’altro. Una ossessione mediatica che non si fonda soltanto sul parere di scienziati, medici, virologi, ma che coinvolge tutti i quotidiani frequentatori dei salotti televisivi. Giornalisti che fino al giorno prima parlavano delle tensioni tra Renzi e Conte o di prescrizione, opinionisti tv, esponenti politici, conduttori e conduttrici che l’unico rapporto con la medicina ce l’hanno quando vanno dal medico o comprano l’aspirina in farmacia. Come tutti noi che non siamo medici, che non abbiamo mai analizzato in laboratorio un virus, né tantomeno lo abbiamo isolato o stiamo lavorando a un vaccino. Una informazione caotica, nel pieno stile italiano, che pensa di affrontare un problema sanitario come se fosse un dibattito alla moviola su un rigore dato o non dato.
Una informazione ventiquattro ore su ventiquattro, spasmodica, frenetica, disumana. La conta incessante dei numeri, su tv e quotidiani online, è quanto di più imbarazzante e crudele si possa fare. I contagi e i decessi aggiornati in tempo reale, con il corollario delle pregresse condizioni di salute e delle età delle vittime, come fossero cifre vuote, dentro le quali le persone, i loro familiari, il dolore si dissolvono in un pallottoliere rovente sul quale arrostire la carne della notizia. Non c’è spazio per altro, non c’è spazio per il ragionamento, la razionalità. Se anche in qualche trasmissione o giornale si ospitano voci tecniche che predicano calma, è nella complessiva e ossessiva copertura della vicenda che si costruisce una irragionevole psicosi e si trasforma un problema importante, che richiede una corretta attenzione, in una pandemia.
“Moriremo tutti” è il messaggio subliminale che appare dentro ogni ripresa, collegamento, talk show, telegiornale. Sembriamo tornati alle terribili pestilenze dei secoli passati, agli scenari manzoniani e boccacciani, a Camus, a quelle epoche narrate dalla letteratura che però erano epoche nelle quali la medicina e gli strumenti non erano quelli moderni, il progresso non era quello attuale, così come, in teoria, l’alfabetizzazione e l’istruzione non erano diffuse come oggi. Eppure ci comportiamo esattamente come i nostri antenati. Con la stessa disumana irrazionalità, con la caccia all’untore, con il razzismo verso coloro che vengono considerati appestati, con la razzia dei beni di prima necessità anche laddove il virus non è arrivato. Un virus che viene presentato come fosse letale, come la peste appunto, nonostante l’Oms e le istituzioni sanitarie parlino di un impatto più ridotto rispetto ad altri virus a mortalità più elevata e con virulenza maggiore (vedi SARS e MERS) ai quali il mondo è sopravvissuto.
I dati svaniscono, ingoiati dalla paura che i media fomentano, trasformandola, come sempre, in strumento a disposizione di certa politica per costruire consensi di stomaco e aizzare i peggiori istinti di questo Paese. Così, ad esempio, un virus, che non è non classista e non è razzista e colpisce il cittadino cinese così come il manager lombardo o la turista bergamasca, viene utilizzato per continuare la criminalizzazione dello straniero, del migrante. Al punto che i soliti noti, i sovranisti d’Italia, senatori, deputati, governatori, sputafuoco di ogni dove, decidono di utilizzare la paura per continuare a sostenere la politica dei porti chiusi e delle navi lasciate in mezzo al mare. In un gioco di squallida e purulenta strumentalizzazione, con l’avvallo di giornalisti meritevoli di radiazione per violazione di qualsiasi etica e deontologia, i migranti naufraghi salvati dalle Ong vengono accusati di essere infetti, a prescindere.
Perché sarebbero privi di controlli sanitari e quindi non vanno fatti sbarcare nell’Italia già “assediata” dal virus che, nella percezione indotta, sta per ucciderci tutti. Poco importa che le oltre 270 persone della Ocean Vikings sbarcate a Pozzallo non avessero alcun Coronavirus, come risultato dai controlli attenti e accurati che, in Italia, si fanno sempre al momento dell’approdo. Non basta a fermare le brame degli sciacalli, che ora hanno il volto del governatore della Sicilia, il quale pretende che la Sea Watch, con a bordo 194 migranti salvati dal mare, non approdi a Messina, perché i suoi naufraghi potrebbero essere infetti. Dimentica, il governatore della Sicilia, fiero alfiere della tradizione fascista, che non esiste quel rischio, che i controlli sanitari vengono svolti e che l’unico caso di Coronavirus in Sicilia lo ha portato una turista bergamasca, proveniente dalle terre tanto care al suo nuovo alleato e in vacanza nella Palermo meticcia e multiculturale nella quale ha sede la Regione.
Sciacallaggio puro. Fomentato da una narrazione nociva, che mostra come la macchina mediatica italiana abbia problemi seri e abbia enormi responsabilità anche sui comportamenti della politica e della popolazione. I casi di razzismo e di violenza legati al virus, l’assalto ai supermaket, il sospetto verso chiunque possa essere un untore, sono la conseguenza di chi da anni si è ormai abituato a trattare ciascun tema attraverso la paura. La paura che muove tutto, dai tempi in cui è iniziata la crisi. La paura che fa comodo a livello economico, politico, elettorale, di marketing e di ascolti o letture. Una paura studiata, sfruttata strategicamente, orientata, solida, capace di annullare anche le smentite e la realtà dei fatti. Il declino di una comunità nazionale che accetta che da giorni si parli solo di questo, dimenticando il dramma del quotidiano, quello che ha numeri realmente spaventosi, come le morti sul lavoro che hanno smesso da tempo di fare notizia e che in meno di due mesi hanno raggiunto quota 78 (cifra che potrebbe aumentare ancora fino a quando questo editoriale verrà pubblicato).
Dimenticando di raccontare delle operazioni antimafia messe a segno da magistrati e forze dell’ordine e che coinvolgono anche alcuni partiti politici. Dimenticando, soprattutto, che non siamo dentro un romanzo, ma dentro la realtà, l’unico faro che chi ha l’obbligo di informare dovrebbe seguire. Da un romanzo (“Cecità” di Josè Saramago) di quelli che tutti dovrebbero leggere, prendiamo però a prestito le parole che possono spiegarci perché l’orrore al quale stiamo assistendo nella narrazione del Coronavirus è un orrore che preesiste e che ha agenti patogeni culturali: “Eravamo già ciechi nel momento in cui lo siamo diventati, la paura ci ha accecato, la paura ci manterrà ciechi”.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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