Una mamma e il suo bambino di pochi mesi. Naufraghi. Morti in mare, ritrovati abbracciati. La commozione generale che scorre nei racconti dei media, sui giornali online, sui social. L’emozione e l’indignazione di molte persone, scioccate da questa immagine tragica, emblema di un orrore che da tempo si compie davanti alla porta di un Paese e di un continente sempre più chiusi, egoisti, spietati. Terracina, agro pontino, luogo di sfruttamento e caporalato. Luogo in cui i diritti vengono massacrati ogni giorno. Le vittime sono sempre straniere, principalmente lavoratori indiani. Un imprenditore viene arrestato per le vessazioni continue, per la violenza compiuta contro le persone che lavoravano per lui. Le minacciava con un fucile a pompa, sparava verso di loro per convincerli a lavorare di più e più velocemente. Tanti i commenti indignati, lo shock sincero di molte persone, la richiesta di agire contro questo sistema schiavistico dentro casa nostra.
Fatti, notizie, reazioni. Tutto nella norma, compreso il silenzio o la voce flebile della politica. E invece no. Non c’è nulla di normale. C’è una evidente scollatura tra il popolo e la realtà che lo circonda. Una scollatura piena di distrazioni, omissioni, vuoti, complicità dirette o indirette. Pur comprendendo l’emotività e non mettendo in dubbio a priori la spontaneità del dolore di alcuni di fronte a fatti così drammatici, viene da chiedersi perché solo adesso. Perché chi prima ha taciuto, oggi urla improvvisamente all’Europa e all’Italia di fare qualcosa? Perché chi prima ha taciuto, oggi afferma che bisogna rompere con la Libia? Perché chi prima ha appoggiato partiti e personaggi che hanno legittimato il potere dei trafficanti e degli aguzzini nei lager libici oggi si lamenta, protesta, chiede di intervenire? Perché chi non ha mosso un dito contro il caporalato né sostenuto chi denunciava, oggi si sconvolge? E soprattutto, dove hanno vissuto fino ad oggi molti cittadini italiani? In che realtà parallela? In quale dimensione lontana da questa realtà orribile che si ripete quotidianamente da anni?
È assurdo pensare che ci voglia la morte di una mamma e di un neonato per rendersi conto che nel Mediterraneo, in ogni suo angolo, si sta compiendo un genocidio. Soprattutto, è assurdo misurare questa ignobile gradazione del dolore, come se la morte di un bambino o di una madre siano più gravi, più pesanti di quelle di adolescenti, ragazze e ragazzi, donne e uomini adulti, perfino anziani. I trafficanti di uomini e i Paesi che ne sono complici non fanno distinzioni di età. Non le fanno nemmeno Italia ed Europa, che chiudono le porte a tutti, pagando dittatori o paesi canaglia per fermare i migranti, per trattenerli. E tra quelli che vengono costretti alle botte, alle violenze, agli stupri, alle notti in stanze sporche e gremite all’inverosimile, tra quelli che vengono picchiati e rimandati indietro, lasciati nel deserto oppure nella neve, al confine con Macedonia e Croazia o in Ungheria, ci sono anche mamme e bambini. Eppure nessuno sembra farci caso.
Viviamo la nostra vita quotidiana, dimenticando quello che succede ogni ora, ogni minuto, ogni secondo a esseri umani di ogni età, il cui dolore ha lo stesso peso. Ricordate cosa è accaduto quattro anni fa? Tutti sconvolti dalla foto di Aylan Kurdi, il bimbo esule morto mentre cercava di attraversare il mare tra la Turchia e la Grecia. Il suo corpo, fotografato sulla riva, ha fatto il giro del mondo, è diventato un simbolo. Di cosa? Di nulla. Di una indignazione emotiva e ipocrita che non ha prodotto niente, se non lo spettacolo del dolore, una macabra fiction che consuma rabbia e costernazione in meno di una settimana. Perché di Aylan continuano a morirne ogni giorno. E quella immagine terribile di quel corpo senza vita con la faccia sulla spiaggia non ha impedito alle nazioni europee di finanziare la Turchia per fermare i migranti. Così come le immagini terribili della Libia non hanno fermato gli accordi con la Libia.
E chi oggi si indigna e piange per una mamma e un bambino morti in mare spesso è lo stesso che ha votato forze politiche che quegli accordi li hanno siglati, difesi, confermati e ancora lo fanno.Una squallida ipocrisia. Che vale anche nel caso del caporalato. Tutti sconvolti dalla notizia di Terracina. Ma perché? Qualcuno crede che caporali e padroni siano in genere delle brave persone? O che sia la prima volta che si usa il fucile contro i lavoratori migranti? Abbiamo già dimenticato tutto. Abbiamo dimenticato Rosarno, i colpi di pistola e fucile contro i lavoratori che camminavano sul ciglio della strada, i tentativi di investirli, i pestaggi, le sprangate con le quali sono stati mandati a morte o quasi i lavoratori in Calabria e nel foggiano, gli stupri ripetuti e i ricatti sessuali nei confronti di braccianti agricole o mogli di braccianti a Vittoria.
Abbiamo dimenticato che, già nel 2006, Fabrizio Gatti ci raccontò di Foggia, dei lavoratori polacchi scomparsi nel nulla e dei quali nulla si è più saputo. Dove erano gli indignati di oggi quando queste cose sono state raccontate e sono diventate di dominio pubblico? Questo Paese ha un grosso problema, anzi ne ha tre: usa l’emotività per cancellare le proprie responsabilità; ha nel suo Dna quintali di ipocrisia; ha una scarsa memoria e quella poca che ha la usa male, sia quando deve scegliere a chi affidare le istituzioni sia quando dovrebbe far sentire la propria voce a quelle istituzioni. Questo Paese un giorno forse si sveglierà leggendo e scoprendo, sui libri di Storia che altri scriveranno, di essere stato complice di un genocidio. Quel giorno, probabilmente, avrà pure la faccia tosta di dire: “noi non lo sapevamo”.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
Grazie