La settimana scorsa il dibattito politico si è spostato sul tema della legalizzazione delle droghe leggere. In controtendenza a quello che è il trend mondiale che vede una sempre maggiore liberalizzazione della canapa, sia a scopo terapeutico che per uso privato, il ministro dell’Interno, Salvini, in piena campagna elettorale ha promesso al proprio elettorato, fortemente conservatore, un netto passo indietro per l’Italia sul tema. Il leader della lega ha infatti dichiarato la volontà di chiudere i cannabis shop nati in Italia a seguito della liberalizzazione della produzione e vendita di canapa a bassissimo contenuto di THC.
Ma andiamo con ordine. Nel 2016 il governo Renzi ha approvato la legge 242 che permette e tutela la coltivazione di canapa a scopo “tecnico”. Come si legge all’articolo 4 del testo normativo, affinché tale prodotto sia legale, la quantità di THC (tetraidrocannabinolo) non deve superare lo 0,6%. Nonostante questa legge abbia rappresentato una svolta importante sul tema, molte sono rimaste le zone d’ombra, la legge infatti non chiarisce esplicitamente la possibilità di commerciare o meno infiorescenze. Anche sulla base di ciò, il questore di Macerata, Antonio Pignataro, ha iniziato una lotta senza quartiere contro i cannabis shop nella sua zona arrivando nel 2018 a chiuderne alcuni proprio per il commercio di infiorescenze.
A tal proposito successivamente è arrivato il pronunciamento della sesta sezione penale della Cassazione che ha legittimato il commercio di canapa con un contenuto di THC a norma di legge e ha vietato alle questure la possibilità di procedere a sequestri preventivi prima di aver constatato l’effettiva illegalità del commercio.
Quello che è successo in seguito è la cronaca degli ultimi giorni: Salvini ha cominciato la sua battaglia personale contro la droga leggera e il giorno dopo, strana coincidenza, è arrivata l’ordinanza proprio a Macerata di chiudere alcuni negozi, dando l’impressione a tutti che Salvini stesse facendo seguire i fatti alle promesse fatte in campagna elettorale. In realtà non è andata proprio così. Solo qualche ora dopo infatti è stato specificato da alcune testate giornalistiche che gli shop chiusi non erano a norma di legge. Secondo le indagini preventive, infatti, pare che vendessero infiorescenze contenenti lo 0,8% di THC. Va precisato che il limite è stato sforato di pochissimo, se pensiamo che uno spinello illegale spesso contiene più del 5% di questo principio attivo, ma se esiste una legge è giusto che venga fatta rispettare e che vengano fatti dei controlli.
Salvini ha dunque preso la palla al balzo collegando per dare alla vicenda dei connotati ideologici, dicendosi preoccupato per i giovani italiani e ha ricordato che i provvedimenti che verranno presi serviranno per combattere le mafie. Le stime però raccontano una realtà completamente diversa da quella dipinta dal leader della Lega. Secondo uno studio dell’università di York, il commercio illegale in Italia è calato del 12% dall’apertura dei negozi di cannabis light e non è un mistero che il commercio di stupefacenti rimane uno dei principali business delle mafie che vedrebbero crollare il mercato nero nel caso in cui la marijuana venisse perfettamente legalizzata.
La legge 242, inoltre, seppur con tanti limiti, ha fatto nascere oltre 2000 aziende agricole, un vero e proprio piccolo settore che verrebbe completamente distrutto se Salvini andasse realmente a chiudere tutti i rivenditori di cannabis light. A fine maggio è attesa una nuova sentenza della Cassazione, questa volta a Sezioni Unite, che dirà una volta per tutte quale sarà il destino dei cannabis shop in Italia. La decisione è dunque nelle mani dei magistrati, non del ministro dell’Interno. Il resto è solo campagna elettorale e fumo negli occhi per un certo tipo di elettorato che risponde sempre alle solite leve fatte di paura e ignoranza.
Vincenzo Verde -ilmegafono.org
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