Verità e percezione sono due concetti che non possono coesistere se non su linee di pensiero opposte. Verità e percezione sono i terreni sui quali si gioca la sfida politica del nostro tempo. La storia ci racconta che in passato la verità (o parte di essa) è stata spesso sacrificata in nome della cosiddetta ragion di Stato, talvolta con risvolti pesantissimi che hanno messo in discussione la moralità e la tenuta delle istituzioni. La conseguente risposta critica, le battaglie intellettuali e politiche sull’etica e sul senso dello Stato sono state ottime armi di rivendicazione di quella verità negata e hanno creato squarci visibili, aprendo spazi a un progresso culturale e civile al quale anche la politica ha partecipato.
Oggi, invece, la verità è negata scientificamente, non in nome di una qualsiasi ragion di Stato, ma in nome di interessi di parte e di una propaganda che ha ormai raggiunto livelli preoccupanti. Nel guazzabuglio volgare di tweet e post prodotti direttamente dai ministri, la verità infatti scompare, viene scolorita e smontata con linguaggi da bar, studiati appositamente per ridurre o annullare la distanza tra chi siede nei palazzi e chi sul divano di casa. Un avvicinamento pericoloso perché non basato sull’oggettività degli eventi e su un linguaggio istituzionale che rendano credibile l’azione politica, ma su una valanga di slogan e immagini private che oltrepassano i fatti stessi, diventano talvolta gossip o smanie da influencer.
Come in un infinito Grande Fratello, si permette al popolo di guardare dentro le stanze delle istituzioni, dandogli l’illusione di vedere davvero quel che accade, dimenticando però che dietro c’è sempre una regia, c’è un copione studiato e ci sono inquadrature selezionate. Ecco allora che la verità viene confusa con la percezione indotta. E questa confusione è tanto più grande quanto più forte è il legame di fiducia che si crea con il personaggio. Così, il capo di un ministero importante come quello dell’Interno diventa un venditore di slogan pieni di menzogne, talmente efficaci da coprire le verità sul suo conto, eludendo le responsabilità sue e del suo partito sui milioni sottratti allo Stato o minimizzando la gravissima vicenda della fotografia e delle strette di mano con un pluripregiudicato.
Ma non è solo una questione di comunicazione o di drogatura del consenso attraverso la costruzione di una linea politica che punta sul percepito, sulle emozioni, e non sulla verità. È anche un problema concreto di gestione della nazione. Perché le menzogne hanno conseguenze sulla vita dello Stato. La battaglia politica del capo del Viminale contro i migranti e la sua propaganda spietata sul tema della guerra contro i “clandestini” hanno prodotto un decreto ignobile che è stato salutato con entusiasmo dai fan del ministro e da parte del Paese. Peccato, però, che le conseguenze di quel decreto vadano proprio nella direzione opposta alle promesse del ministro, dal momento che il provvedimento aumenta enormemente il numero di persone prive di un documento regolare, trascinando nella clandestinità esseri umani che avevano già acquisito diritti e che partecipavano a percorsi di integrazione.
Per non parlare poi della retorica sulla sicurezza, argomento sul quale l’errata percezione della realtà, strategicamente costruita da politica e mass media, ha spazzato via la realtà stessa. I continui allarmi sulla sicurezza, la falsa equazione tra immigrazione e criminalità hanno trovato terreno fertile e consenso, nonostante tutti i dati smentiscano l’esistenza di un problema simile, mostrando un calo notevole e progressivo dei reati in Italia negli ultimi anni. Di esempi di tal genere ve ne sono tanti, a partire dalle bugie sull’invasione dei migranti o sul numero dei musulmani in Italia, insomma tutti argomenti funzionali a foraggiare chi ha bisogno di paure e di nemici per poter edificare il proprio consenso nascondendo la propria incapacità.
Ciò ha effettivamente determinato un serio problema al grado di consapevolezza popolare, al punto che i cittadini italiani sono risultati essere al primo posto in Europa per percezione distorta della realtà. Insomma, se è vero che, come sostiene qualcuno, siamo nell’era della post-verità, di sicuro l’Italia attuale ne è l’espressione più avanzata. Anche perché in questo Paese ormai non ci si preoccupa nemmeno più di nascondere la menzogna, anzi siamo già giunti a un livello successivo. Qui, chi partecipa al dibattito pubblico può rilasciare affermazioni di ogni tipo, senza curarsi della loro infondatezza evidente. Si può dire di tutto e aspettarsi che la gente, i seguaci e non più gli elettori, ci creda e difenda quelle affermazioni.
Si può dire, ad esempio, che la mafia e la ‘ndrangheta saranno cancellate entro qualche anno, nonostante non sia stato prodotto alcun provvedimento concreto contro la criminalità organizzata e anzi, al contrario, siano state apportate delle modifiche a norme che, adesso, potrebbero favorire certi sistemi. Si può dire che la corruzione non avrà più spazio, anche se per i comuni viene alzata la quota degli appalti senza gara da 40 a 200mila euro. Si può annunciare che la povertà è stata sconfitta, anche se non si è messa in moto alcuna strategia per il sostegno ai più poveri e, al contrario, ci si è accaniti sugli ultimi della terra. Si può perfino dire che l’allunaggio non sia mai avvenuto.
Si può dire tutto, sicuri che la gente non rida più, non contesti più, ma accetti. Gli italiani ormai credono a tutto, credono che i migranti siano un problema, che le colpe siano sempre degli altri, che la vera piaga di questo Paese non siano le mafie (con le quali conviviamo senza batter ciglio) ma sia l’immigrazione (nonostante senza migranti saremmo una nazione in fallimento economico e sociale, con l’11% di Pil in meno). Il popolo italiano accetta qualsiasi cosa e ripone fiducia nella non verità. Perché una menzogna, anche la più evidente, la più clamorosa, è molto meno scomoda e fa molto meno male di una semplice verità.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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