Se fosse una commedia di Mario Monicelli, popolata da quei personaggi arroganti o fragili, meschini o generosi, tronfi o perdenti, ma sempre in qualche modo simpatici, potremmo stare tranquilli e ridere. Purtroppo, però, l’Italia di Renzi è reale e di simpatia non v’è traccia alcuna, nonostante gli autoscatti sorridenti, la faccia pulita, le battute, i gelati e una studiata fisionomia social. Eppure qualcuno ride di gusto, soprattutto chi ha in cantiere qualche progetto che sembrava a rischio di fallimento o che era stato bloccato per una qualche ragione. Ridono i petrolieri. La politica industriale ed energetica di Renzi non è frutto di uno studio o di una attenzione concreta ai modelli di sviluppo, né di una competenza specifica in materia.

L’idea è banale, identica a quella che altri in passato portavano avanti e che talvolta riuscivi a ritrovare in un bar qualsiasi. Quell’idea la ripescavi nelle parole di un uomo qualunque, che commentava qualche notizia di politica ambientale dando addosso ai comitati di cittadini e alle associazioni che si opponevano a inusitate scelte industriali ricadenti su un territorio. “Hanno rotto con sto ambiente, qui dobbiamo mangiare e lavorare!”; “me ne frego del mare e della cultura, il petrolio ci farà ricchi abbastanza per farci le piscine”; infine, l’immancabile “meglio morire di fumo che di fame!”. Quante volte queste frasi hanno riempito le bocche stolte di gente che non ha pensato mai una volta di informarsi. Quante volte queste parole hanno incoraggiato, come vento che soffia in poppa, le azioni folli di una politica incapace di coniugarsi al futuro.

Il colpo di mano che il governo Renzi sta attuando è clamoroso e dovrebbe mobilitare una protesta di massa, se non fosse che viviamo in un Paese di rassegnazione patologica. Senza capirci nulla, Matteo il rivoluzionario ha deciso di “sbloccare l’Italia” con un atto di forza che è il risultato di un’equazione elementare: siamo in crisi energetica e abbiamo bisogno di ricchezza, quindi cerchiamo l’oro nero e trasformiamo due regioni nel nostro Texas. Sicilia e Basilicata sono le due vittime sacrificali dell’ignoranza al governo o, a pensarla male, degli interessi che lo manovrano. I petrolieri tornano alla carica.

A circa 8 anni dalla battaglia popolare in Val di Noto (territorio esteso, che abbraccia le province di Catania, Siracusa e Ragusa, dichiarato patrimonio dell’Umanità dall’Unesco) contro la Panther Oil e il governo Cuffaro che l’aveva illegittimamente autorizzata, la brama predatoria dei cercatori di petrolio torna a minacciare l’area, non solo quella terrestre, ma anche e soprattutto quella marina. Con il decreto di Renzi, tra l’altro, le regioni verranno esautorate dalle loro funzioni di valutazione, in quanto il procedimento della VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) passerà direttamente nelle mani del governo, con le regioni che potranno soltanto esprimere un parere non vincolante. I territori, quelli che nel frattempo hanno investito sul turismo, grazie alla bellezza paesaggistica, culturale, ambientale, con ottimi risultati per l’economia locale (è il caso, ad esempio, di Noto, per citarne uno), non avranno voce in capitolo. E la questione non riguarda soltanto Sicilia e Basilicata, ma tutto il territorio nazionale, coinvolgendo altre regioni (Marche, Abruzzo, Puglia, Calabria, Lazio, ecc.).

Una scelta violenta che non tiene conto della vocazione e dell’esperienza delle realtà locali, oltre ad andare in totale controtendenza rispetto a quanto fanno altri paesi europei, ad esempio la Germania, che hanno investito sul rinnovabile abbandonando o riducendo gradualmente l’energia fossile. Ma si sa, sempre a voler pensare bene, Renzi di energia non ci capisce nulla, così come è lecito ritenere che neanche il ministro dell’Ambiente, Galletti, abbia le idee molto chiare. O forse sì. Forse, cancellando per un attimo la buonafede, questa “svolta” industriale altro non è che il prezzo del biglietto che gli alleati hanno imposto, visto che lo Sblocca Italia, per filosofia, finalità e procedure, somiglia moltissimo a quella famigerata “legge Obiettivo” creata dal governo Berlusconi per superare l’ostilità di regioni ed enti locali di fronte a progetti industriali sconsiderati che danneggiavano l’ambiente e mettevano a rischio serio la salute della popolazione.

La continuità con le idee del Cavaliere e con quelle altrettanto bislacche e pericolose del montiano Clini è imbarazzante. Ma è evidente che a notare questo imbarazzo siamo solo noi, perché lui, il Matteo nazionale, il leader in camicia bianca, scrolla le spalle, sorride e, con una smorfia di arroganza, non considera altro che la sua linea e l’obiettivo di qualsiasi cosa esalti il suo ego, sia esso un flash o la lucina rossa di una telecamera. Possiamo anche lamentarci, incazzarci, restarci male, promettere battaglie durissime, lui se ne infischia. I cittadini e le realtà locali, soprattutto di quel Sud condannato a veder distrutta la sua bellezza e ogni forma di sviluppo basato sull’unicità del suo territorio, per il toscano di ferro non contano nulla. La rapina istituzionale si compie senza sussulti.

La speranza è che si ripeta la mobilitazione popolare del 2007, senza peraltro aspettarsi nulla da una Regione Sicilia il cui governatore è un industrialista convinto che ha già aperto alle prospezioni petrolifere in mare. La rassegnazione in giro è tanta e non è un buon segnale. Ma è proprio per questo che chi non si arrende ha l’obbligo di mobilitarsi, per far capire a Matteo il bullo che governare l’Italia non è il soggetto di una commedia nel quale egli assume il ruolo di un novello Marchese del Grillo. Perché lui sarà pure lui, ma non tutti sono disponibili a divenire oggetto inerte della sua pericolosa insolenza.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org