Il risultato delle elezioni dello scorso 12 maggio in Iraq, le prime dopo la sconfitta dello Stato islamico (Is), è stato tutt’altro che scontato. Al primo posto si è piazzato un movimento populista, guidato dal leader religioso sciita Moqtada al Sadr, che negli ultimi anni si è distinto per le grandi manifestazioni contro la corruzione, le interferenze straniere nella politica irachena e la divisione settaria del potere. Ora, a poco più di dieci giorni dal voto, i riflettori sono puntati sulle consultazioni per la formazione del nuovo governo che dovrà essere necessariamente formato da una coalizione di forze politiche.
Nessuno infatti ha ottenuto la maggioranza necessaria per governare. L’esito delle consultazioni post-elettorali potrebbe avere riflessi importanti sugli equilibri di potere in Medio Oriente, dove il confronto tra l’Iran e paesi come l’Arabia Saudita, vicina agli Usa, è sempre più teso.
La lista populista e nazionalista di al Sadr, Sayrun, alleata con il Partito comunista, ha ottenuto la maggioranza dei voti, aggiudicandosi 54 seggi nel parlamento monocamerale dell’Iraq, sfidando ogni previsione. Il favorito nei sondaggi era infatti il premier uscente Haider al Abadi, con la sua coalizione “Alleanza della vittoria” (Nasr), che invece è arrivato terzo con solo 42 seggi. Al secondo posto, a livello nazionale, si è piazzata invece la coalizione formata dalle milizie filoiraniane guidate dallo sciita Hadi al Amiri, con 47 seggi. Si tratta delle forze paramilitari che hanno avuto un ruolo determinante nella guerra allo Stato islamico e che hanno ricevuto negli anni finanziamenti e appoggio logistico da parte di Teheran. I partiti curdi Pdk e Puk (ossia il Partito democratico del Kurdistan e l’Unione patriottica del Kurdistan) hanno ottenuto invece rispettivamente 25 e 18 seggi.
Per governare servono 165 seggi. Non sarà facile quindi formare la nuova maggioranza, in un paese dove le divisioni tribali e religiose sono ancora molto forti e dove la ricostruzione di infrastrutture strategiche e di intere città deve fare i conti con una corruzione endemica. Una possibile soluzione risiederebbe in una coalizione di governo tra il movimento di al Sadr e la lista del premier uscente Abadi, con l’appoggio dei partiti curdi. Abadi, infatti, negli ultimi tempi ha cercato più volte di rispondere alle richieste provenienti dai sostenitori di Sayrun, tentando di varare nuove norme anticorruzione e di mantenersi allo stesso tempo equidistante tra le influenze esterne di Stati Uniti e Iran.
L’appoggio dei curdi, che con Sayrun godono di buoni rapporti, sarebbe però fondamentale per arrivare ai 165 seggi necessari per governare. La partita quindi potrebbe giocarsi nel campo curdo, dove il Pdk di Massoud Barzani, “eroe” delle rivendicazioni d’indipendenza della regione autonoma del Kurdistan iracheno, è più volte stato ai ferri corti con Abadi nell’ultimo anno. Nella regione curda, lo scorso settembre, si è tenuto infatti un importante referendum sull’indipendenza i cui risultati sono stati però ignorati dal premier di Baghdad. Più volte si sono sfiorati anche conflitti a fuoco tra i militari iracheni e i Peshmerga, le forze della regione autonoma curda, in aree ancora contese con Baghdad come Kirkuk (per altro ricca di petrolio).
La situazione del paese è quindi complessa ed eterogenea e, se a questo aggiungiamo che l’Iraq è il secondo produttore di petrolio all’interno dell’Opec (l’Organizzazione dei paesi produttori di petrolio), il quadro si complica ancora di più. Paesi come Stati Uniti e Iran, che con Baghdad hanno ormai da anni forti legami politici, oltre che economici, non staranno a guardare e cercheranno di influenzare in ogni modo l’esito delle consultazioni.
Giorgia Lamaro -ilmegafono.org
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