Il prossimo 25 novembre si celebrerà la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, giornata che arriva guarnita già dei più recenti dati “Eures – Ricerche economiche e sociali” sul femminicidio e delle altrettanto nuove e “innovative” campagne di comunicazione che mirano a sensibilizzare i cittadini sulla lotta contro la violenza sulle donne. A Milano, tanto per fare un esempio, in questi giorni si sono visti consiglieri regionali con addosso magliette arancioni corredate da spettacolose scritte precedute dal moderno e immancabile cancelletto – #nonseidasola – in segno di vicinanza alle vittime di violenza. Il Pirellone i giorni scorsi si è tinto tutto d’arancione e lo stesso Palazzo Marino si colorerà anch’esso per tutta la giornata di domenica, sulla scia dell’iniziativa #orangetheworld promossa da UN Women, ente delle Nazioni Unite che dal 2011 investe molte energie e risorse per l’eguaglianza di genere.

Addirittura la Serie A di calcio si fa promotrice di una campagna tutta sua di sensibilizzazione, #unrossoperlaviolenza, un simbolico cartellino rosso dipinto in viso contro la violenza. Su tutto il territorio nazionale, da nord a sud, non si possono non apprezzare le encomiabili e coloratissime iniziative che riempiono le piazze ma soprattutto i social e le pagine dei giornali. Peccato che, al netto della forma, la cruda sostanza della realtà stride molto con la partecipazione che queste manifestazioni sprigionano ogni anno.

Anche quest’anno, infatti, secondo i dati aggiornati Eures, aumenta ulteriormente il numero di donne vittime della violenza: al 31 ottobre 2018 il 37,6% del numero totale di omicidi avvenuti sono femminicidi, quasi 3 punti percentuali in più rispetto allo stesso periodo preso in esame dello scorso anno. E il nord si riconferma un’eccellenza: la Lombardia primeggia sempre con un bel 17% del totale complessivo. Visto da un’altra angolazione ancora, la statistica registra in pratica una vittima di femminicidio ogni 72 ore. Ad analizzare bene i dati e a contemplare il pathos con il quale si racconta ogni anno il fenomeno, specie in occasione di queste giornate celebrative, non si può
non rimanere disorientati.

Come quella crescente inquietudine che ti lascia un quadro ambiguo dove, in primo piano, si può facilmente ammirare una candida narrazione, molto nitida e dai colori saturi, fatta di chiassose indignazioni, proclami, prese di posizione e diti puntati, mentre sullo sfondo, sfuocato e tendente al grigio, si allarga un silenzioso quotidiano fatto di abusi, soprusi e coltelli che trafiggono la pelle e l’anima. Sì, coltelli, perché le armi da taglio sono, secondo la stessa ricerca Eures, il principale strumento utilizzato dagli uomini per uccidere le proprie mogli o compagne, nella maggior parte dei casi, le madri dei loro propri figli. Armi bianche, armi che non producono rumore.

Fanno sorridere amaramente certi slogan imperativi espressi da molti opinion leader, più o meno noti, i quali, spesso, nella disperata ricerca di una causa qualsiasi da abbracciare per diventarne indiscutibili paladini al solo fine di crearsi un’identità, invocano la scarsa conoscenza del codice penale come unico responsabile di cotanta violenza. Nulla in contrario alle più variegate manifestazioni – viva la libertà e la creatività a suo servizio! – , ben venga uno studio più approfondito della legislazione in vigore sin dalla più tenera età, ma verrebbe da chiedersi, forse, prima ancora di arrivare a questo, se le ragioni di una presenza così costante della violenza (di genere, ma anche in tutte le sue altre categorie) nel quotidiano di una società occidentale, moderna, non abbiano radici ben più complesse, ataviche magari, e quindi le soluzioni da proporre non siano anch’esse più intricate e di difficile conseguimento.

Che fine avrà fatto, piuttosto, l’educazione ai sentimenti, rivisitata magari in chiave moderna, anche a misura di “vita digitale”? Il rispetto per se stessi, che si traduce poi automaticamente in rispetto per il prossimo, l’empatia, il controllo delle emozioni, della mente, la capacità di gestire un rifiuto? Sarebbe forse utile approfittare di queste ricorrenze annuali, come il prossimo 25 novembre, per uscire da vecchi schemi mentali e porsi nuove domande, a cui cercare di dare risposte più idonee e concrete.

Alina Nastasa -ilmegafono.org