Quando a scuola, negli anni ‘80, ci insegnavano il concetto di solidarietà, la sua applicazione veniva proiettata in un mondo drammatico che comprendeva i bambini affamati di alcune zone dell’Africa così come quelli ammalati di Chernobyl, i sopravvissuti delle aree terremotate italiane e la gente povera di alcune aree del SudAmerica, e via dicendo. Non esistevano frontiere, barriere nazionali, colori, etnie, nel grande mondo degli ultimi, degli esclusi. La solidarietà era un sentimento nobile, non sempre del tutto puro o scevro da retorica e interessi naturalmente, ma di certo distingueva in positivo gli esseri umani che lo mettevano in pratica. Era qualcosa di stimabile, qualcosa da insegnare, promuovere, tutelare.
Trent’anni dopo accade invece che la solidarietà venga non solo offesa, contestata, giudicata sulla base di concezioni identitarie e colme di barriere, ma addirittura considerata un problema e persino un reato. Il caso della Proactiva Open Arms, ong spagnola che dalla fine del 2015 è impegnata nel Mediterraneo in operazioni di salvataggio e soccorso di migranti, è uno dei punti più bassi di questa guerra sempre più feroce a tutto ciò che è solidale ed obbedisce al principio di centralità dell’essere umano e della tutela della sua vita e dei suoi diritti fondamentali.
Il provvedimento di sequestro della nave della Proactiva, emesso della procura di Catania, è l’ennesimo colpo di cannone contro chi cerca di non essere complice di una delle pagine più buie della storia europea ed italiana del nuovo millennio. Oggi, nello scenario politico e culturale europeo, è diventato assolutamente normale accusare chi si rifiuta di consegnare donne, uomini e bambini disperati alla Guardia Costiera di una nazione come la Libia, instabile politicamente, infettata dai trafficanti di esseri umani, fieramente irrispettosa di diritti umani e non aderente alle specifiche convenzioni in materia.
Non si è più eroi se si cerca, peraltro nel pieno rispetto del diritto, di sottrarre degli esseri umani alle mani di chi li uccide, tortura, stupra, maltratta quotidianamente. Esseri umani in fuga, che nessuna barriera riuscirà a fermare definitivamente. Le Ong pertanto continuano ad essere nel mirino, dopo che, l’anno scorso, le accuse mosse sempre dal procuratore di Catania, Zuccaro, e riprese poi dalla politica, sono sfociate nelle misure del governo che hanno enormemente limitato il raggio di azione delle stesse Ong nel Mediterraneo. Accuse che però giuridicamente non hanno mai prodotto prove concrete né portato a provvedimenti di arresto o sequestro di beni.
Il nuovo provvedimento contro la Proactiva Open Arms è invece qualcosa di diverso, molto più grave, perché punisce quello che è un obbligo internazionale, tutelato dalle convenzioni e dall’Onu, vale a dire il salvataggio di persone in grave pericolo, e lo trasforma in un comportamento da sanzionare. E questo si aggiunge a tanti altri casi, in Europa, che coinvolgono pure dei semplici cittadini, anche sulla terraferma, come ad esempio quello della guida alpina francese che in patria rischia 5 anni di carcere per aver aiutato una migrante nigeriana incinta, la quale cercava di attraversare, insieme al marito e ai loro bambini, il confine tra Italia e Francia. O ancora il respingimento di un’altra donna incinta, rimandata indietro dalla gendarmeria francese, respingimento che ha causato la morte della donna.
Di casi come questi in Europa ce ne sono a centinaia, per non parlare del clima intimidatorio contro chi opera nell’ambito della tutela dei diritti dei migranti. Siamo veramente tornati al clima che ha preceduto gli anni più bui del secolo scorso. In un’Europa civile e moderna non dovrebbero esistere bestemmie simili, non dovrebbero esserci ragioni che possano prevalere su un principio umanitario sacrosanto, in terra come in mare. Spingersi a punire la solidarietà e considerarla reato significa legittimare formalmente qualsiasi azione giudiziaria contro chi aiuta il prossimo o salva una vita.
Esattamente l’opposto di quello che intere generazioni hanno avuto la fortuna di imparare a scuola nei decenni passati, ma soprattutto è il segno funesto di una società di indifferenti e di spietati calcolatori che prima o poi, se continuerà così, sarà spazzata via insieme a questa diffusa e insopportabile apologia dell’orrore e della crudeltà.
Se coloro che compiono solidarietà dovessero essere considerati colpevoli, allora le istituzioni che portano avanti questa teoria di criminalizzazione faranno bene ad aprire migliaia e migliaia di fascicoli, abbandonare case e famiglie e passare il loro tempo in tribunale, nei municipi, nelle loro stanze, perché i colpevoli da giudicare saranno per fortuna tantissimi. E tantissimi i ricorsi a corti internazionali che possano ristabilire un po’ di giustizia e umanità in questa parte di mondo che ha dimenticato la sua storia e gli inferni che ha già saputo costruire, con inarrivabile crudeltà, nel Novecento.
C’è un limite non oltrepassabile. Se non si tiene conto del male che, in nome di un egoismo inaccettabile, si sta facendo a milioni di persone nel mondo, sarà inutile poi lamentarsi o sperare nella pietà della Storia, quando la Storia verrà a chiederci il conto. Perché, stiamone certi, che prima o poi questo avverrà. E non ci saranno vie di fuga.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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