«Santi che pagano il mio pranzo non ce n’è/Sulle panchine in Piazza Grande/Ma quando ho fame di mercanti come me qui non ce n’è». Così cantava Lucio Dalla in una delle sue più celebri canzoni (Piazza Grande). Dava voce a un ultimo, un barbone di Piazza Grande, e ci offriva la visione lucida di quelli che colpevolmente chiamiamo “altri”. Una visione bonaria, sincera e positiva dell’umanità, che sa ritrovarsi e parlarsi nonostante le differenze di censo. Una visione ben diversa, purtroppo, da quelle che ci offrono le cronache moderne che riportano costantemente lo stigma per gli ultimi.
Aveva fatto notizia qualche tempo fa la richiesta di licenziamento per la signora che aveva sottratto all’oblio dei rifiuti un monopattino per regalarlo alla figlia. Ben più di ampio raggio è l’azione intrapresa dal sindaco di Genova, Marco Bucci, espressione di una coalizione di centrodestra, che ha lanciato una campagna fatta di più ordinanze a tutela del decoro cittadino. In particolare, ha destato scalpore e scandalo il provvedimento che multa chi rovista nei cassonetti.
Provvedimento che, dopo le polemiche che ne sono scaturite, la Giunta ha provato a smorzare giustificandolo con l’applicabilità soltanto ai casi in cui si imbrattano le aree circostanti.
La strategia, magari inconscia, è chiara. Occorre marchiare il comportamento e chi lo porta a termine, indipendentemente dalle ragioni, minando anche la dignità stessa delle persone. Magari quella madre non voleva scatenare un putiferio, sicuramente riteneva, ingenuamente e in buona fede, di non destare scalpore e soprattutto di poter fare un regalo (peraltro scartato da qualcuno a cui non interessava più) senza bisogno di elemosinarlo. Invece no. Dita puntate e marchio di vergogna da parte di una società che è sempre più povera ma sempre più incazzata con chi sta peggio, con i più poveri, per quel carattere nostrano di essere, come Don Abbondio, forti coi deboli e deboli coi forti.
In questo razzismo travestito da burocrazia c’è tutta la peggiore ipocrisia borghese. Da un lato, vuole nascondere e ghettizzare l’ultimo perché non disturbi e, dall’altro, gode nel dargli un briciolo di ciò che possiede a favore di telecamera. Guai, però, se l’ultimo rifiuta il contentino, alza la testa e prova a sottrarre all’oblio il rifiuto dell’opulenta società che lo esclude. Invece di dar manforte a chi tutti i giorni, davvero, aiuta chi è in difficoltà, si preferisce dare una ripulita, per trasformare tutto in una viuzza marcia dentro ma con i marciapiedi puliti ben in vista.
Eppure non sarebbe difficile essere soltanto umani, senza bisogno sempre di additare chi sta peggio. Non si diventa più ricchi, non ci si guadagna nulla, le strade restano comunque sporche delle cicche gettate in terra da uomini in cravatta e lastricate delle bottiglie lasciate da studenti ubriachi. E così le canzoni di Lucio Dalla sono buone ormai per essere stuprate nel canto corale di cinquantenni bagnati di sudore alla fiera della beneficenza, che ormai manco serve più a pulire la coscienza. Però che schifo i poveri che rovistano nella spazzatura: forse perché ci ricordano quanto schifo facciamo noi a far sì che possa succedere.
PennaBianca -ilmegafono.org
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