C’è qualcosa che questa società non vuole vedere, non perché sia difficile da individuare ma perché ci chiama in causa tutti. E allora ci si avvale delle facoltà di non rispondere e si gira la testa da un’altra parte. È faticoso vedere e riconoscere la povertà, costringe a fare i conti con quello che siamo o che siamo diventati e non è un conto che si regola facilmente. Basta una passeggiata alle prime ombre della sera nelle vie del centro delle nostre città, ricche di luci e piene di niente: coperte e piumoni di cartone proteggono i barboni, anche se fa più elegante chiamarli “clochard” oppure “homeless”. Ci sono, anche a Milano. Sono lì a poche decine di metri dalla Galleria e dalle vetrine o in Piazza della Scala, vicini alle auto di lusso in sosta che aspettano chi uscirà dalla serata di gala.
Difficile stabilire se a ucciderli prima sia il freddo o l’indifferenza anche se si potrebbe parlare a lungo di come sia assassino il freddo dell’indifferenza. Di loro si parla soprattutto quando una notte più fredda del solito se ne porta via qualcuno che non riuscirà a rimettere insieme i pezzi della notte e affrontare una nuova giornata fatta di carità o elemosina.
A volte se ne parla anche quando il sindaco di una città invaghita della propria ricchezza decide che la povertà è un lusso che non ci si può permettere, perché disturba il decoro e offende la facciata ipocrita di chi aspetta il Natale per rendere omaggio a se stessa e al proprio benessere. È successo a Como, dove poche settimane prima di Natale si vietava il bivacco dei poveri che, appunto, disturbavano il decoro della ridente cittadina. L’ordinanza andava però ancora oltre, spingendosi al punto di multare chi solidarizzava con i poveri. L’alleanza del decoro contro chi deturpa l’immagine del benessere ha scritto nei giorni scorsi una pagina da ricordare: il TAR della Lombardia ignora la richiesta di sospensione dell’ordinanza firmata da Mario Landriscina, sindaco di Como (leggi qui).
È molto di più del provvedimento di un Tribunale, è la fotografia del degrado umano e sociale che spinge a creare muri e nascondere quello che ci disturba, come si fa con la polvere sotto il tappeto. Nascondere le vergogne è sempre stato il marchio di fabbrica del potere, in qualunque angolo del pianeta, ma il tappeto diventa sempre più piccolo e non potrà bastare a lungo. E un giorno, prima o poi, dovremo fare i conti con noi stessi e con quella che viene considerata la polvere da nascondere. Il nostro tappeto ha la faccia dei confini che il nostro tempo cerca di difendere costruendo muri fatti di mattoni e ignoranza e pensando che un mare sia sufficiente a scavare un solco ancora più profondo con quella parte di mondo che abbiamo sfruttato e stuprato fino all’impossibile.
Ma le onde camminano, si muovono e spesso diventano tempesta. Nella nostra stupida intelligenza fatta di calcoli e di economia, di bilanci, di conteggio dei barili di petrolio estratti, abbiamo sempre pensato a dividere e mai a unire. Una parte del mondo, la più piccola, ha costruito gran parte della propria ricchezza e del proprio benessere sulla vita e sulla morte di quella parte del mondo che abbiamo sempre guardato con disprezzo, allontanandola con fastidio e pensando di colonizzarla. Le onde però camminano, si gonfiano e a volte scavalcano i nostri muri ed entrano negli anfratti degli stessi muri che abbiamo alzato. Le onde ci portano i barconi di chi scappa da guerre, miseria, violenza, carestie.
Da sempre l’Uomo cerca di scappare dalla povertà e dalle mille facce con cui la povertà si presenta. L’Europa, la stessa Europa bianca e ricca di un tempo, oggi si accorge che deve fare i conti con tutto questo. È la stessa Europa che per anni ha costruito la sua ricchezza anche con la forza di comandare in casa degli altri, spartendosi tutto quello che c’era da spartire nel continente africano. È la stessa Europa che si è mangiata tutto quello che c’era da mangiare in Sudafrica o nelle regioni del Maghreb, dal Mediterraneo all’cceano Atlantico. È la stessa Europa che oggi vomita sui migranti tutta la propria frustrazione, incapace di fare i conti con gli errori di un passato nemmeno troppo lontano. È la stessa Europa che, dopo gli anni del colonialismo, ha soffiato sul fuoco delle rivolte interne, favorendo e proteggendo regimi dittatoriali e autoritari, finanziando colpi di Stato e governi amici.
È la stessa Europa che per decenni ha firmato accordi economici e politici con i Gheddafi di turno e oggi firma accordi con la Libia che aprono di fatto le porte dell’inferno per i migranti. È la stessa Europa che oggi ha paura di aggiungere gli ultimi ai penultimi, che deve fronteggiare gli errori e gli orrori di intere classi politiche e governi che hanno frazionato sempre di più le classi sociali all’interno dei propri confini, creando sacche di povertà e disoccupazione sempre più grandi e sempre più ai margini della società. E quelli che all’interno dei singoli stati europei erano gli ultimi oggi sono in lotta con i nuovi ultimi, quelli che arrivano a ondate sui barconi. È questo il punto di arrivo di una lotta di classe che per troppi non esiste più. Invece esiste ancora.
Un rapporto dell’ISTAT del luglio 2017, pubblicato da alcuni giornali, afferma che la povertà in Italia ha toccato livelli altissimi stimati in cinque milioni di poveri definiti “assoluti”. La stessa fascia di povertà aumenta anche in altri Paesi dell’Europa, come la polvere sotto il tappeto, ma i cosiddetti “equilibri internazionali” non si scompongono più di tanto, pensano che il tappeto sia ancora grande abbastanza. Si recita un gioco fingendo di non sapere che quando ci si siede ad un tavolo da gioco si perde sempre. Si perdono dignità umana e credibilità, si perde tempo. La ricchezza appartiene da sempre a poche tasche e capire che la ridistribuzione della ricchezza è l’unica strada da percorrere è vista come l’utopia visionaria di pochi e sciocchi sognatori.
È come se una specie di oblio fosse sceso ad offuscare la vista e la ragione, a cancellare per sempre la capacità di ribellione degli uomini davanti al destino. Non può essere così, non deve essere così. Non esiste mai una sola strada quando si cammina, l’istinto e la ragione devono sempre viaggiare insieme. L’istinto porta con sé la capacità di essere ribelli e la ragione deve saper guidare l’istinto, non è facile. Ci sono parole che da troppo tempo sono state messe sotto il tappeto come la polvere: classe, solidarietà, internazionalismo, ma le classi esistono ancora, come le caste. Fingere che non esistano più, negarne l’esistenza diventa una colpa.
Anche la solidarietà esiste ancora, è praticata e vissuta quotidianamente da donne e uomini che ogni giorno operano per un mondo diverso, migliore. Spesso lo fanno nell’indifferenza di cittadini, governi e istituzioni. Eppure lo fanno, testardi e umani. L’internazionalismo è il collante che dobbiamo saper ritrovare per capire che nessuno può davvero bastare a se stesso. Ernesto Che Guevara diceva che «… ogni vero uomo deve sentire sulla propria guancia lo schiaffo dato a qualunque altro uomo…». È difficile riuscirci, lo capisco, ma oggi come ieri questo è più che mai necessario e giusto.
In troppi oggi si riempiono la bocca con la frase “aiutiamoli a casa loro”, è una frase ipocrita ma accattivante e sembra diventare sempre più apprezzata. A volte è apprezzata anche dai penultimi, che vedono gli ultimi come rivali nella loro condizione di povertà. La guerra tra poveri, come la guerra fra ultimi, è il punto d’arrivo più feroce del Capitalismo e ci siamo arrivati. L’ultima parola sotto il tappeto è “Diritto”, ma perché il diritto possa trovare piena cittadinanza è necessario lottare tutti i giorni, a viso aperto contro chiunque pensi di avere il diritto di decidere sulla pelle degli altri uomini.
Quanto è lontana l’Europa dalla storia e dagli uomini? Quanto vale per l’Europa dei “Paradise Papers” e delle multinazionali la parola “diritto”? Quando l’Europa troverà il coraggio di fare i conti con la propria storia e con il proprio presente allora non ci sarà più bisogno di un tappeto davanti alla porta per nascondere la polvere.
Maurizio Anelli (Sonda.life) -ilmegafono.org
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