Richiamarsi al passato, quando si ha la necessità di aggrapparsi a valori positivi o ad esempi indimenticati, è umano, soprattutto se il presente è povero e nebbioso. La malinconia ci conquista, anche se spesso ci fa dimenticare o minimizzare tutto il resto, vale a dire gli elementi negativi che pure quel passato, in qualche modo, presentava. La politica italiana odierna è terreno fertile per i malinconici. E non ci si riferisce certo ai nostalgici di tempi lontani, bui e drammatici, quelli della dittatura e delle ignobili leggi razziali, ma a quelli dei tempi democratici della cosiddetta “prima Repubblica”, quando la politica, seppur con tutti i suoi difetti, era una scuola e sfornava personalità piuttosto preparate e leader di spessore.
Anche le forze più piccole partecipavano alla dialettica pubblica affidandosi a segretari ed esponenti di partito che esprimevano le proprie posizioni con assoluta chiarezza, nel bene e nel male. Poi, c’era tutto il resto. C’erano, in generale, gli inganni, le furberie, i grigi giochetti di potere, il clientelismo, la corruzione, le infiltrazioni mafiose. Che magari hanno cambiato forma e metodi, ma sono rimaste, ci sono ancora. Sono il vizio della società italiana nel suo insieme, di cui la politica è un luccicante riflesso. Il tempo è cambiato poco nell’orologio dei vizi, come dimostra l’attualità sconvolgente delle parole di scrittori e intellettuali del passato. Il problema è che, invece, le virtù si sono perse per strada, fagocitate dalla disarmante involuzione politica e culturale del nostro Paese.
Le scuole di partito non ci sono più, le porte sono chiuse dall’interno e proteggono il salone privato nel quale si stabilisce quali siano i temi, chi li debba rappresentare, come se ne debba parlare. Le basi sono scomparse, polverizzate, ridotte a cumuli di delusione rabbiosa e incontrollata, oscillanti, schizofreniche, impulsive. Sia che esse siano fisiche o virtuali, si parlino per strada o sul web, non producono più nulla. Il marketing vince su tutto. Costruisce i recipienti nei quali il popolo deve infilarsi e rimestare, per scegliere il proprio piccolo spazio di interesse. Così un tema non prioritario lo diventa, assume valore, significato, risulta perfino decisivo nello spostare voti tra i confini annacquati di un elettorato informe.
Il marketing, dicevamo. A pochi mesi dalle elezioni le strategie, più che politiche, sembrano pubblicitarie. O meglio lo sono ancora di più che nei periodi morti, quelli in cui la dialettica è esclusivamente dedicata alle azioni di chi governa. La politica ha già spento quel poco di concreto che le rimane e ha lasciato campo aperto a strateghi di marketing, esperti di comunicazione, piani pubblicitari. Non a caso, Berlusconi, che su questo campo è difficile da battere, ha riacquistato forza. Gli altri, dai Cinque Stelle alla Lega, arrancano o perdono la loro forza attrattiva, commettendo anche diversi errori.
Ci prova allora Renzi a seguire la scia del Cavaliere, provando a ripetersi, mostrando l’arroganza che gli è propria e tutti quegli aspetti della sua personalità che a tratti lo fanno somigliare alla sua controparte nel famigerato patto del Nazareno. Attacca la sinistra e sguinzaglia i suoi che fanno il lavoro sporco al suo posto, protestando ad esempio per lo spazio concesso in Rai a un suo avversario. Non accenna ad ammettere i propri eccessi o a fare un minimo di autocritica, non modifica la propria linea, neanche quella linguistica, ripete il suo messaggio infischiandosene se è in contrasto evidente con la verità.
Renzi sa che ha solo questo modo per resistere, per uscire da un progressivo isolamento, per evitare che ci si soffermi sui danni prodotti al proprio partito dalle sue scelte, dai suoi toni, dagli impulsi di chi per ogni errore ha trovato una giustificazione da scaricare su altri. Il marketing politico del segretario Pd si affida poi a un vecchio strumento sempreverde: il testimonial. Se la Leopolda è sempre stata, almeno fino alla penultima volta, l’occasione per far sfilare sostenitori illustri provenienti da mondi esterni alla politica (cantanti, sportivi, personaggi televisivi, ecc.), anche le liste per le prossime elezioni sembrano avviate a seguire questo trend.
Puntare su nomi “popolari”, amati o semplicemente conosciuti alle cronache, scegliendo tra chi ha un talento visibile e può conservare un valore anche simbolico, differenziandosi un minimo dalla vip mania incontrollata del Berlusconi prima maniera. Secondo quanto sostiene Repubblica, ad esempio, Renzi starebbe pensando alla Cristoforetti, la famosa astronauta italiana, e a Roberto Burioni, virologo noto per la sua campagna pro vaccini. Altre indiscrezioni parlano di sportivi, artisti e altri personaggi che possano essere riconoscibili e comunque apprezzati dal “pubblico” (chiamarli elettori risulterebbe troppo politico). Ma sono solo indiscrezioni, quindi inutile fare ulteriori nomi.
Di sicuro, però, è una delle strade scelte dal leader Pd, che vuole ribattere alle forze di sinistra, riunite sotto il simbolo di Liberi e Uguali, che hanno scelto il presidente del Senato, Pietro Grasso, profilo che Renzi probabilmente non avrebbe voluto perdere. Anche la scelta di Grasso, a prima vista, ha poco di politico. Per carità, sulla persona e sulla sua storia nulla da dire, così come anche sul suo valore istituzionale, ma rimane comunque una scelta non strettamente politica. A sinistra, politicamente, si sarebbe dovuto scegliere un leader carismatico con una storia di sinistra riconoscibile, più legata ai movimenti, alle lotte sociali e ambientali (anche se i nomi disponibili e conosciuti sono davvero pochi), una figura venuta fuori da un lungo lavoro collettivo di coinvolgimento della società civile, di chi a sinistra ci vive ma da tempo non si sente rappresentato.
Anche Grasso sembra una scelta, in qualche modo, di marketing. Per tre ragioni: è un emblema della lotta alla mafia, elemento che potrebbe spostare i voti di molti elettori Cinque Stelle, con idee di sinistra e antimafiose, delusi dalla scelta di candidare Di Maio (che rappresenta l’ala destrorsa del movimento); è un uomo pacato e rassicurante, cosa che potrebbe convincere gli elettori di centrosinistra, più moderati e sdegnati dallo spostamento a destra delle politiche del PD di Renzi, Gentiloni e Minniti; è un uomo indipendente che non ha le responsabilità e l’immagine negativa o perdente dei fuoriusciti Pd che sono confluiti in Articolo 1 – Mdp. Insomma, la politica c’entra in parte, la comunicazione un po’ di più.
Allora, in questo scenario che ci condurrà alle prossime elezioni, viene naturale sentire un po’ di brividi di malinconia per quella che era una politica sicuramente non nobile nel suo insieme, ma ancora piena di tensioni ideali positive, di temi alti, di porte aperte, basi rumorose, tribune politiche che sembravano palestre di dialettica e leader carismatici, decisi, preparati. Poi c’era tutto il resto, certo. Ed è crollato miseramente. Sarebbe stato certamente meglio se avesse lasciato spazio a eredi migliori e ben allevati politicamente, invece di lasciare un misero testamento siglato dentro un cinico e grigio ufficio marketing.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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