Complottisti, vecchi tromboni, giovanotti arroganti, aspiranti premier, generali, volpi ingrigite, razzisti ossessivi: questa è la fauna umana che popola la scena politica di questi tempi. In attesa delle prossime elezioni, è già iniziato il valzer delle bugie, delle televendite politiche, delle accuse, degli sciacallaggi, dei litigi e delle rivendicazioni. L’Italia è ancora nella palude, ostaggio di forze politiche in costante competizione, come fosse una gara sportiva e non fosse invece in discussione il destino di un Paese, oggi politicamente incancrenito e socialmente e culturalmente sbandato.
Il Cavaliere è tornato ed è quello di sempre: sorridente, volgare, irritante, ma capace di sedurre ancora la parte di cittadini che si era sentita abbandonata e che oggi è pronta a perdonargli tutto. Berlusconi è tornato e il popolo di sinistra e dei vecchi oppositori si è risvegliato dal letargo, riprendendo lo stesso filo interrotto quando tutto sembrava ormai appartenere al passato. Ricominciano così le valanghe di commenti indignati alle parole del leader del centrodestra, i promemoria sui suoi guai giudiziari, sui suoi vizi, sulle battute pessime, sulla sua amicizia e stima per Dell’Utri.
Roba condivisibile, per carità, ma sentita e strasentita, alla quale forse dovremmo iniziare a dare meno peso, concentrandoci su altro e occupandoci piuttosto di non commettere nuovamente l’errore di cadere nel suo tranello, di sottovalutarlo e di sprecare le nostre energie nell’inutile opera di delegittimarlo agli occhi di un popolo che, facciamocene una ragione, lo guarda con simpatia e, a volte, perfino con nostalgia. Non solo a destra, purtroppo.
Forse sarebbe meglio ragionare sulla responsabilità di chi ha tenuto in vita politicamente Berlusconi e soprattutto su quello che il cosiddetto centrosinistra a guida Pd ha prodotto in questi anni di governo. Perché se Berlusconi rappresenta il ricordo di scelte sbagliate e di comportamenti esecrabili, i governi Pd di Renzi e Gentiloni costituiscono la ferita bruciante e attuale di uno sconfinamento inaccettabile, di azioni concrete che si sono spinte ben oltre Berlusconi e non senza la sua cercata collaborazione. Non è un semplice spostamento a destra, ma proprio una frattura violenta, difficilmente sanabile.
Le direzioni prese in tema di lavoro (con il Jobs Act, le tutele polverizzate, lo scandalo dei voucher), di ambiente (lo Sblocca Italia, le trivellazioni, il Tap, l’irrisolto caso Taranto) e soprattutto di immigrazione, con la condotta spietata di Minniti e gli accordi ignobili con la Libia, insieme ad altre misure su scuola, giustizia e pensioni, hanno messo in atto ciò che a Berlusconi era riuscito solo in parte. Si aggiunga, inoltre, un tentativo di riforma costituzionale che, oggi, sarebbe stato un pericolo per la democrazia, come qualcuno diceva beccandosi valanghe di insulti da chi adesso chiede unità.
Il risultato è stato quello, non solo di creare scissioni interne al proprio partito, ma anche e soprattutto di allontanare l’elettorato un tempo di centrosinistra, che oggi in buona parte disperde il voto o addirittura è costretto al non voto. Ed è questa la nota dolente. Si individua il nemico sempre esternamente. Una volta è Berlusconi, una volta Grillo, una volta i dissidenti che sono stati praticamente cacciati dal Pd e che ora, per il loro rifiuto di tornare indietro, sono considerati colpevoli della probabile vittoria degli altri due schieramenti in campo. Gli appelli all’unità, al netto delle mediazioni, sono privi di una serena ammissione di colpa che per primo il segretario del Pd dovrebbe per una volta fare, non semplicemente chiedendo scusa, ma facendo un passo indietro.
In tutto questo, la controparte, pur resistendo con dignità ai richiami tardivi e non scevri da ipocrisia, dimentica però che la costruzione di un’alternativa richiede impegno e presenza vera sui territori. Perché è inutile continuare a distinguersi se poi si ragiona ancora con le vecchie logiche delle segreterie fumose e con la ricerca spasmodica di nomi da candidare, sperando magari in un nuovo/vecchio nemico come il Cavaliere, che possa fare da coagulante e ridare un insperato vigore a un elettorato dormiente o stanco.
Non è più il tempo. Perché il punto è che, mentre le forze politiche, tutte, giocano a mostrarsi migliori delle altre e ad accusarsi reciprocamente, c’è un astensionismo che cresce e che non è soltanto una parola da buttare lì ad ogni occasione elettorale. Non un’entità facilmente etichettabile, certo, ma nemmeno totalmente indefinibile. A nutrire le fila degli astenuti ormai sono anche figure e tipologie di elettori che un tempo non avrebbero mai rinunciato a votare. Essi continueranno ad astenersi e, anche se ciò serve davvero a poco, l’astensione è in qualche modo una forma di risposta, una protesta silenziosa, inutile ma reale.
È proprio questo che nel grande zoo della politica attuale non si comprende. È davvero avvilente vedere spesso esponenti politici esultare per vittorie elettorali ottenute in contesti, soprattutto locali, dove a votare si è recato il 25 o il 35 per cento degli elettori. Fa inorridire quell’entusiasmo di fronte a ciò che invece dovrebbe essere considerato un funerale della democrazia. Sarebbe molto più onesto e dignitoso usare toni più pacati e interrogarsi, tutti insieme, vinti e vincitori, sulle ragioni dello scollamento tra forze politiche e base elettorale.
Aprire una seria e ampia riflessione sui meccanismi di selezione della politica, sulla sua aderenza alle questioni quotidiane del Paese, sulla debolezza generale dei contenuti, sull’etica dei comportamenti, sulla valenza educativa della politica, sulle modalità del dibattito e sull’incapacità di dare all’Italia una legge elettorale in grado di esprimere un governo stabile e opposizioni costruttive. È una questione di bene comune, di interesse collettivo, che non è possibile sacrificare per un triste gioco delle parti. Se questo non lo si comprende in fretta, da ogni parte, si rischia davvero di creare le condizioni per fallimenti pericolosi che ci riguarderanno tutti. E non sarà una banalità, come un mondiale di calcio mancato, ma qualcosa di molto più serio e preoccupante.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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