Tre musicisti di ottimo livello che non hanno paura di dirci quel che pensano sul mondo e sugli esseri umani, sulla loro molteplice complessità, sul loro essere individui unici, e lo fanno utilizzando il mezzo più diretto e vero: il rock e le canzoni. Questo è il biglietto da visita dei Multiverso, nuovo progetto nato nella suggestiva Laveno Mombello, sulle sponde del lago Maggiore, nel 2014 (anche se i tre suonavano già insieme nel 1995). Il loro disco di esordio, “In successione continua d’istanti”, uscito lo scorso gennaio, è un ottimo concentrato di rock e grunge, che non rinuncia a contaminazioni e che alterna pezzi dal sound potente e robusto a brani più intimi, ballate più malinconiche, in perfetta sintonia con il contenuto dei testi.
Le tredici tracce che lo compongono, infatti, offrono una riflessione sul concetto di tempo nelle sue varie declinazioni e con tutti i significati e i ricordi che oggi, quotidianamente, genera. La lingua scelta è l’italiano, proprio perché i Multiverso amano essere diretti e vogliono far arrivare il loro messaggio (come ci hanno spiegato nel corso dell’intervista rilasciataci durante la puntata di “The Independence Play” sulla nostra radio). Ad ogni modo, ci sanno fare anche con l’inglese, come dimostrano egregiamente nella stupenda Smalltown e in Vertigo, le due tracce che chiudono questo loro egregio esordio.
I Multiverso risultano dirompenti, con la loro anima rock, usando le distorsioni per prendere il tempo e la realtà, sedurli e fotografarli da angolature inaspettate e avvincenti. La noia non trova spazio nelle loro canzoni, con le quali tentano di fornirci nuovi e convincenti punti di vista sul nostro essere. Sanno farsi sentire e ci ridestano con la potenza delle loro proposte rock-grunge e con le loro indomabili chitarre. Basta il giro di basso di La convenzione, brano di apertura del disco, per catapultarci nel loro universo mutevole e affascinante.
Ci sputano, traccia dopo traccia, le regole che vogliono farci ingoiare: “Non esiste questa libertà la ragione ti convincerà” (La convenzione); “non invecchia mai la vanità!” (Peter e Wendy (la vanità)); “sogni lucidi intorno a te ti ingannano” (Stardust). Il tutto mentre alimentano una crescente ansia di non svanire, di non lasciare soltanto le nostre manie a testimonianza della nostra esistenza.
I Multiverso ci travolgono e ci propongono un universo nuovo che si oppone all’apparenza e all’omologazione. Sono liberi e non schiavi di punti di vista stantii e opinioni appiccicose. Il tempo che passa lascia segni non solo sul nostro viso e spesso ci rende stanchi dei soliti copioni e degli attori, ci costringe a ritrovarci, anche distanti, anche al freddo: ma nonostante tutto, come cantano in Complice l’inverno, i nostri musicisti scelgono l’armonia, la verità, il gelo e la purezza della neve, in una pressante urgenza di vivere. Una canzone, questa, nella quale la delicatezza della chitarra accarezza l’anima ed esprime perfettamente lo struggente disincanto di chi non si riconosce più.
Il brano successivo (Il ladro non ha tempo) prende invece un’altra direzione melodica e, con una galoppata hard-rock, esprime il bisogno di “avere un po’ più di tempo” per riacciuffare e smascherare quel ladro conosciuto che si nasconde e ci ferisce ogni volta che cambia vita o maschera.
Nella loro opera non c’è alcuna carezzevole menzogna: i Multiverso sanno essere spigolosi e duri, sanno colpire e risvegliarci dal torpore delle nostre vite comode e assopite. In La vertigine, la chitarra acustica ci accompagna nella notte, nel bisogno di riempire di illusioni i nostri vuoti, scordandoci delle nostre paure e sfruttandole piuttosto per sentirci vivi, per provare la vertigine. In Per ogni Alice, davanti a un mutevole universo di illusioni e allucinazioni, fatto di “strade che cambiano verso” e “parole che cambiano senso”, ci offrono la bussola e ci svelano che il “viaggio è l’unica vera risposta” per le tante Alice che, cercando un paese delle meraviglie, ritrovano prima di tutto un’altra immagine di sé.
L’intro di Come alberi, invece, non ci lascia scampo, ci ipnotizza e intrappola in un rock duro, quasi metal, che consigliamo di continuare a sperimentare. Preghiera dell’uomo nero, decima traccia, ha la magia dei migliori Alice in Chains e ci insegna che, nonostante la realtà spesso ci divida, il ricordo ci permette lo stesso di legarci indissolubilmente.
In questo primo lavoro del loro nuovo progetto, i Multiverso ci regalano dunque un album davvero riuscito, ricco di sfumature e suggestioni, robusto, intenso, dinamico e mai piatto, mai scontato, musicalmente molto interessante, perché si appoggia a un genere preciso senza però rinunciare a contaminarlo e sperimentare. “In successione continua d’istanti” va ascoltato senza distrarsi, perché oltre a riempirci di accordi, riff e assoli, sa anche parlarci in faccia e farci riflettere sul tempo, sull’oggi, su noi stessi.
FrankaZappa -ilmegafono.org
Commenti recenti