Nel corso della presentazione, tenutasi a Roma, del quinto rapporto “Agromafie2017”, realizzato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, si è giunti a conoscenza di un dato che fa paura e che dovrebbe far riflettere. Nel corso dell’ultimo anno, infatti, il business dell’agroalimentare e, quindi, del cibo, ha fruttato alla criminalità organizzata ben 21,8 miliardi di euro, a dimostrazione del fatto che si tratta di un trend che dal 2013 ad oggi ha visto il proprio valore moltiplicarsi in maniera esponenziale (4 miliardi nel 2015, mentre solo 4 anni fa tale dato si era fermato a 500 milioni di euro). È il ritorno della mafia ai campi, all’agricoltura; un ritorno che forse fa a sportellate con le più moderne tecniche di racket e di guadagno, ma che, come già accennato, sembra piuttosto remunerativo e facile da ottenere.
Secondo il rapporto, infatti, l’intero Made in Italy (quel famoso marchio di cui dovremmo e potremmo andar fieri, soprattutto all’estero) sarebbe in mano alla criminalità organizzata: dalla produzione al trasporto del cibo, passando per la scelta dei prezzi da immettere sul mercato fino alla gestione di oltre 5.000 locali dediti alla ristorazione nelle città italiane più importanti. Non ci sono procedimenti né processi che scampino al potere della mafia; non c’è settore, in questo triste Paese, che non venga inquinato e poi gestito dalla criminalità che lo rovina e lo danneggia.
Ma come agiscono i clan che gestiscono il commercio agroalimentare? In realtà, il modus operandi è simile per tutti, anche se i settori in cui viene applicato sono differenti: oltre al classico racket e all’usura, la criminalità ha deciso di combattere il libero mercato e la libera concorrenza colpendo le piccole e medie imprese. A queste, infatti, vengono rubati mezzi agricoli, bestiame, animali e persino i prodotti già realizzati (soprattutto olio d’oliva e agrumi). In poche parole, quando il clan non gestisce direttamente la produzione di un prodotto, l’alternativa è colpire chi il prodotto ce l’ha già, annullando così ogni concorrenza e portando i prezzi alle stelle.
Vi sono infine anche casi (secondo il rapporto, ciò avviene soprattutto al Nord) in cui i clan importano prodotti dall’estero spacciandoli per italiani e ciò, ovviamente, produce dei danni notevoli. I risvolti negativi per l’Italia, infatti, sono molteplici: la mafia, immettendo nel mercato falsi prodotti italiani, crea non solo una cattiva reputazione al Paese intero in termini di qualità, ma soprattutto un danno alla salute dei consumatori.
Un problema, questo, che coinvolge il Nord così come il Sud: se la città in cui è più forte la presenza della mafia nell’agroalimentare è Reggio Calabria, è altrettanto vero che tra le 10 città maggiormente colpite figurano anche Genova (dove l’olio d’oliva viene inquinato con prodotti esteri), Verona e Padova (dove, dall’estero, viene importata la carne e quindi il bestiame). In Sicilia (che per la prima volta perde il triste primato) sono invece forti il settore ortofrutticolo e quello ittico, soprattutto grazie alla presenza di porti dove la criminalità può ricevere e spedire i prodotti in maniera piuttosto agevole.
Ecco, quindi, che se da un lato la mafia guadagna in maniera notevole, dall’altro l’immagine del Paese rischia di assumere una reputazione che di per sé non è poi così elevata. D’altra parte, però, è pur vero che si ha a che fare con un sistema criminale che non smette di trasformarsi, di evolversi e deve essere difficile per gli inquirenti tenere il passo di criminali esperti e che, mai come oggi, hanno posto attenzione massima sul marketing e sul business in generale.
A tal proposito, una voce dell’antimafia importantissima quale quella di Gian Carlo Caselli ha affermato che “la capacità di trasformazione della mafia” è preoccupante e che ciò avviene perché la mafia “prolifera adottando modi di operare totalmente diversi dal passato”. Inoltre, sembra stia emergendo un nuovo tipo di criminalità che ha “un’insospettabile vocazione al marketing” che “oggi condiziona il mercato, stabilendo il prezzo dei raccolti, controllando i trasporti e lo smistamento di intere catene di supermercati” e che ha un occhio di riguardo nei confronti dei “cospicui flussi di finanziamento europei”. L’ex magistrato ha poi affermato che è in fase di elaborazione una mappatura in grado di registrare le infiltrazioni mafiose in tale ambito. Un lavoro difficoltoso e complesso. ma di cui l’intero Paese ha disperatamente bisogno.
Giovambattista Dato -ilmegafono.org
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