Mai il processo costituente di un’unione dei Paesi europei è stato a rischio di concludersi traumaticamente come in questi mesi. Le cause dell’odierna incertezza sono tutte interne alla stessa logica con la quale si è lavorato negli ultimi anni. L’introduzione dell’euro ha segnato infatti uno spartiacque tra i sogni e la realtà, mettendo a nudo le cose. Si è accettato che nove Stati su ventotto non adottassero l’euro (alcuni per essere entrati nell’UE dopo la sua nascita, altri come Danimarca e Regno Unito per scelta precisa), e quindi che si creassero due diverse “zone” dentro la stessa Unione, quella euro e quella non euro. E così si è resa palese l’esistenza di due visioni incompatibili sulla via della costruzione europea.
La prima, quella storicamente rivendicata da Londra, considera l’Unione Europea semplicemente come un’area di libero scambio con qualche vincolo in più, ma senza alcuna cessione di sovranità sui “fondamentali” (esteri, difesa, moneta, fiscalità). L’altra visione, quella franco-tedesca, punta alla costruzione progressiva di un super-Stato guidato dai Paesi forti. In questo caso, la volontà di cedere sovranità è stata dimostrata con l’istituzione dell’euro: ma, per la Germania, solo in cambio della possibilità di gestire la moneta dettando le regole. In buona sostanza, un’Europa liberoscambista a traino anglosassone oppure un’Europa timidamente federalista a traino tedesco.
Non a caso il Regno Unito è stato il grande sponsor del TTIP, l’accordo di partenariato con gli USA, che ha trovato invece in Germania e in Francia le più grandi resistenze. Ora è arrivato Trump a chiudere questa disputa, perché il TTIP e qualsiasi ipotesi di libero scambio tra USA ed Europa è da considerarsi morto, o almeno congelato.
La diversità di progetto è stata portata fino alla rottura dall’elettorato britannico che ha scelto di tornare ad avere “le mani libere” scommettendo sul ritorno al passato di potenza che la Gran Bretagna ha perso con la fine dell’Impero. Sogni alimentati dagli imprenditori della paura e dagli spacciatori di felicità a basso costo, come Nigel Farage, che, passata l’ubriacatura autonomista, potrebbero diventare incubi in un mondo sempre più caotico. È stato pericolosissimo andare a stuzzicare il vecchio e sedimentato sentimento isolazionistico della Gran Bretagna nei confronti dell’Europa: e le conseguenze del “no” potrebbero ora portare fino alla dissoluzione del Regno Unito, con l’uscita della Scozia che potrebbe scegliere di agganciarsi all’Europa. Un pasticcio gigantesco, insomma, dalle ripercussioni difficilmente valutabili.
La crisi che investe il futuro dell’Europa unita si arricchisce di diversi malintesi. Per esempio quelli che si sono creati con i Paesi dell’Est entrati negli ultimi anni e per i quali l’Unione è soltanto un finanziatore delle economie nazionali, che non deve interferire negli affari interni: neanche quando palesemente si violano la libertà di stampa, i diritti delle opposizioni, la libera circolazione delle persone. Un altro malinteso riguarda i Paesi mediterranei, stretti nella morsa della disoccupazione, della stagnazione della crescita e del debito pubblico senza possibilità di utilizzare le leve tradizionali dell’economia per provare ad uscirne perché contrarie agli interessi tedeschi.
Quanto è accaduto alla Grecia insegna che una delle condizioni fondamentali per la costruzione di un rapporto stretto tra Stati, e cioè la solidarietà, non fa più parte del processo europeo. La dice lunga il fatto che la Germania, nella crisi greca, è riuscita a salvare le proprie banche esposte grazie ai soldi comunitari, ma si è opposta all’ipotesi di alleggerire il debito di Atene socializzandolo tramite l’emissione di eurobond. La Grecia non può fallire, in quanto agganciata a una moneta forte come l’euro, ma non può nemmeno ristrutturare il proprio debito (come qualsiasi Paese sovrano) né socializzarne una parte, come nelle federazioni. In sostanza, la Grecia può solo patire e trascinarsi con un debito impagabile fintanto che a Bruxelles si continuerà a tirare a campare.
Oggi più che mai ci vorrebbe una classe politica europeista, come quella degli anni ’50-’70 del secolo scorso. Ci troviamo invece a fare i conti con il piccolo cabotaggio di leader senza progetto e con le arringhe nichilistiche di leader arruffapopoli. Eppure l’Europa comunitaria è l’unico esempio mondiale di integrazione non soltanto economica. L’unica area che ha la pretesa di diventare non solo mercato comune, ma anche un’area di civiltà. Un progetto “pericoloso” per i regimi autoritari che si consolidano nei Paesi emergenti, ma anche per gli stessi Stati Uniti dell’era Trump. Per questi motivi l’Europa sognata da Altiero Spinelli ha tanti nemici, interni ed esterni. E per questi motivi l’Europa merita di essere riformata e salvata, per convenienza e per principio.
Alfredo Luis Somoza (Sonda.Life) -ilmegafono.org
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