Quando nel 2006, Pierluigi Bersani (allora ministro dello Sviluppo Economico) varò il pacchetto di liberalizzazioni atte a sbloccare e regolamentare un mercato ingabbiato da logiche corporative e burocrazie paludose, i tassisti bloccarono Roma, costringendo il governo guidato da Romano Prodi a fare marcia indietro. Allora, ricordo che mi trovai pienamente d’accordo con Bersani e la sua idea. Qualche giorno fa, la scena si è praticamente ripetuta. Sciopero dei taxi e manifestazione dura per difendere le licenze e i propri diritti. Questa volta, ho provato a valutare anche alcune ragioni dei tassisti, in un settore e in un mercato che sono cambiati, perché sono entrati nuovi protagonisti e nuove tipologie di impresa e perché a ciò non si è accompagnato un adeguamento normativo che potesse regolare la concorrenza e rendere meno “traumatica” per tutti la nuova situazione.

Ci ho provato e ho provato anche ad analizzare le ragioni della protesta degli ambulanti, anche se in questo caso non sono riuscito a trovarne di convincenti. Poi, è bastato un attimo. È bastato vedere certi noti personaggi romani e le loro maniere, è bastato vedere un tirapugni, i saluti romani, qualche ceffone contro chi stava facendo il proprio lavoro, i sassi, un ordigno che avrebbe potuto far male e quella violenza da stadio. La solita violenza. Ecco allora che, di colpo, le ragioni sono finite, perché la manifestazione di Roma ha cominciato a puzzare forte e la puzza era conosciuta, era quella di chi non vuole dialogo ma disordine, quella di chi ha sempre più nostalgia e vorrebbe marciare su Roma ancora una volta.

Era il cattivo odore di una piccola casta che finge di essere anti-casta solo per mantenere i propri privilegi. C’era troppa violenza in quella manifestazione, troppa pretesa, troppo menefreghismo nei confronti del Paese e poca autocritica. I lavoratori vanno rispettati è vero, ma a patto che siano lavoratori che non si prestano a flirt con gruppetti di esaltati che approfittano del caos per sentirsi più grandi e forti di quel che sono. I tassisti hanno perso ancora una volta, nonostante abbiano ottenuto in parte quel che volevano. Essi hanno svenduto le loro ragioni con l’ennesima barbara dimostrazione della loro forza politica. Quella che fa sì che in Italia qualsiasi provvedimento che tocchi gli interessi dei taxi finisca per essere ritirato o ridimensionato.

In questa occasione, insieme a loro, si sono fatti notare anche gli ambulanti, anch’essi protagonisti dei disordini. Poco importa che una parte dei manifestanti si sia dissociata (tra l’altro con molta timidezza), perché il punto è che una manifestazione deve essere ben diretta e organizzata e deve escludere e isolare quelle frange che, invece, sono state lasciate libere di lanciare sassi, petardi, rovesciare tavoli e sedie, far brillare bombe carta, distruggendo le vetrate di un palazzo storico, schiaffeggiare persone, ferire poliziotti, entrare minacciosamente nella via dove si trova la sede di un partito politico impegnato in questioni interne. Inaccettabile anche questo, al di là del giudizio sul Pd e sul suo governo: non è per nulla ammissibile un accerchiamento simile.

Siamo davvero precipitati dentro la barbarie politica e sociale, una palude melmosa nella quale gli esaltati e i destrorsi estremi stanno sguazzando, nella speranza di soffocare la democrazia. E responsabile è anche chi cavalca l’onda di una protesta di pancia, generalizzata e isterica. Il Movimento 5 Stelle, ad esempio, farebbe bene a prestare maggiore attenzione ai propri metodi e alle proprie scelte, perché un sindaco e dei parlamentari, ossia rappresentati istituzionali di uno Stato che sono chiamati a difendere e dal quale ricevono anche dei compensi, non possono scendere in piazza al fianco di chi poi utilizza metodi violenti e mette in mostra simboli fascisti e comportamenti estremisti e illegali.

Si può anche solidarizzare con una causa (motivandola con maggiore chiarezza e coerenza), ma non si può stare al fianco di gruppi di cui non è possibile prevedere intenzioni e “abitudini ideologiche”. A meno che tu non sia esattamente come loro. Insomma, dopo quanto accaduto, sarà difficile comprendere anche le più piccole ragioni dei tassisti. Riguardo agli ambulanti ciò risulta persino impossibile, visto che chiedono di essere esclusi dall’applicazione di una direttiva (Bolkestein) pensata per favorire una maggiore concorrenza e soprattutto una migliore trasparenza nel rinnovo delle concessioni.

Di sicuro sarà molto facile, invece, capire quanto peserà la minaccia di queste categorie nell’attività legislativa dello Stato, così come è molto facile in queste ore rendersi conto di come siano pesanti le parole degli indignati “a convenienza”, quelli che un tempo criticavano le manifestazioni di lavoratori molto meno garantiti e potenti dei tassisti, magari caricati con eccessivo vigore dalle forze di polizia, e oggi difendono invece i violenti o comunque non ne prendono le distanze.

In questo Paese, forse, prima di liberalizzare settori economici, potrebbe essere più urgente liberalizzare la classe dirigente e fare spazio al senso di responsabilità, al decoro istituzionale e all’intelligenza, penalizzate oggi dal monopolio dell’imbecillità e della sottocultura corporativa. A tutti i livelli.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org