Del Gambia abbiamo già parlato su queste colonne condannando le atrocità del governo (o meglio della dittatura) di Yahya Jammeh. Ma la notizia di questi giorni è che il padre padrone per 22 anni (dal golpe del 1994) dello Stato dell’Africa Occidentale circondato dal Senegal ha lasciato il Paese. Il presidente in pectore (eletto nelle elezioni di dicembre) che si trovava in Senegal adesso promette una commissione di inchiesta sulle violazioni dei diritti umani perpetrate dal dittatore. Ci sarà pace per questo stato dove, lo scrivevamo, esiste il reato di omosessualità aggravata?
Lo si spera. Intanto, come si legge su diversi giornali, il dittatore ha fatto il colpo, come ci racconta, ad esempio, un articolo di Repubblica (leggi qui): “Secondo Mai Fatty – consigliere del successore di Jammeh, Adama Barrow, democraticamente eletto – ‘nel giro di due settimane sono stati ritirati 500 milioni di dalasi’ dalle casse dello Stato a nome di Jammeh. Vale a dire circa 11 milioni di dollari, in un paese il cui Pil nel 2015 era pari a 938 milioni di dollari (dati Banca Mondiale)”. Ma non basta. Pare che siano partite, con il dittatore, anche diverse auto di lusso con un cargo dedicato.
Le solite storie di quello che sembra un medioevo africano? Probabilmente sì, ma servono a far comprendere un po’ di più che non stiamo parlando di stati di pastori, che non ci sono gli zulu che fanno la danza. Stiamo parlando, spesso, di zone controllate militarmente da veri e propri padroni in cui la vita non è proprio semplice anche se non ci sono guerre.
Allora ci chiediamo cosa avrà pensato di queste vicende Pateh Sabally, profugo gambiano morto suicida nel Canal Grande (leggi qui). Da parte nostra, come nell’agghiacciante filmato, possiamo continuare a fare i filmini dal telefonino, a stare a guardare e a chiamare tutto “Africa”. Chissà anche se Pirandello, ne “I quaderni di Serafino Gubbio operatore”, avesse pensato che la sua finzione potesse diventare una triste e orribile realtà.
Penna Bianca -ilmegafono.org
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