È il primo giorno del novembre 2005 quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite decide che il 27 gennaio di ogni anno diventerà la giornata ufficiale della commemorazione delle vittime dell’Olocausto. Perché il 27 gennaio? Perché è il 27 gennaio del 1945 che le truppe sovietiche aprirono il cancello del campo di concentramento di Auschwitz. La decisione dell’ONU è giusta, ma molto tardiva perché arriva solo dopo sessant’anni da quel giorno. Tardiva ma comunque giusta. Il punto però è un altro: settantadue anni dopo la liberazione di Auschwitz, l’ombra nera fascista, nazista, xenofoba e razzista volteggia ancora sull’Europa come un avvoltoio. Volteggia, cresce, si raduna e si conta. Si nutre ancora degli stessi fetidi fanatismi di un tempo, nella tolleranza e nel complice silenzio degli Stati.

Dai paesi del Mediterraneo all’estremo nord dell’Europa, i movimenti neonazisti e neofascisti vedono crescere forza e militanza, raccogliendo intorno alle proprie parole d’ordine, volgari ma evidentemente efficaci, un numero sempre maggiore di consensi. Questo vale per molti Paesi europei, dove una miscela esplosiva si alimenta giorno dopo giorno: la crisi economica e sociale e la forte presenza di migranti sono da tempo indicati dalle forze di destra come la principale causa dei problemi interni agli Stati. Come se le disuguaglianze sociali portate dalla globalizzazione sfrenata degli ultimi decenni non avessero alcuna responsabilità. La soluzione proposta dalle forze del fascismo europeo è la stessa dei fascismi del secolo scorso, cambiano solo gli attori indicati come responsabili ma la trama del film è davvero uguale.

Sull’Europa, tutta, soffia sempre più freddo il vento dei nazionalismi e della xenofobia, ma in pochi sembrano accorgersene. Si tende a sottovalutare tutto questo, qualcuno pensa che questo vento smetterà di soffiare oppure… oppure in molti casi si apprezza quel vento, qualcuno lo aspettava da tempo, lo si tollera e in molti casi lo si incoraggia.

Non più tardi di una settimana fa le massime autorità cittadine di Milano, Città “medaglia d’oro della Resistenza Antifascista”, hanno concesso a Forza Nuova il diritto di occupare uno dei luoghi simbolo della Città: l’Arco della Pace. Le origini e la storia di Forza Nuova sono note a tutti in Italia, non si capisce come la Prefettura e la Questura possano aver autorizzato un raduno palesemente e dichiaratamente fascista. Perché l’hanno fatto? In nome del rispetto della “libertà” e della Democrazia? Eppure nell’ordinamento giuridico italiano l’apologia del fascismo è considerata un reato (legge 20 giugno 1952, n. 645).

Evidentemente la Prefettura e la Questura di Milano ritengono che Forza Nuova non commetta questo reato, quindi autorizza il loro raduno fra svastiche e braccia tese. Questo in realtà succede non solo a Milano e non solo in Italia. Succede in Francia, in Ungheria, in Slovacchia, in Germania, in Olanda, in Norvegia, per esempio. Loro, i nuovi fascisti di oggi così uguali ai fascisti di sempre, non si nascondono affatto. Sono attivi, presenti sui social, comunicano. Chi è allora il grande assente in tutto questa storia? Dov’è la grande Sinistra, forte e unita, antifascista e democratica? Dov’è la Sinistra europea in questo tempo che vuole riportare indietro l’orologio della storia? È impegnata altrove, in tavoli di discussione su altri temi. Numeri, voti, governabilità, modernità, riforme…

C’era una volta un’Europa capace di conoscere e ascoltare Sven Olof Joachim Palme, primo ministro della Svezia dal 1969 al 1976 e dall’8 ottobre 1982 fino al giorno del suo assassinio nel 1986. Una vita spesa in nome dell’internazionalismo e della libertà, contro la guerra in Vietnam, contro l’apartheid, contro il folle equilibrio basato sulla minaccia delle armi nucleari, aperto al dialogo e rispettoso della storia e della dignità dei popoli. C’era una volta un’Europa capace di conoscere e ascoltare Willy Brandt. C’era una volta un’Italia capace di ascoltare Antonio Gramsci ed Enrico Berlinguer. C’era una volta un valore comune, l’antifascismo. C’è ancora quel valore, ma è patrimonio di una parte di cittadini europei che rischia di diventare una minoranza.

E allora? E allora viviamolo davvero quel 27 gennaio, giorno della memoria, nel suo significato più profondo e rileggiamo il libro del “Novecento”. È un libro che racconta tragedie e conquiste, sogni, illusioni e speranze. L’ultima pagina del Novecento ci racconta la tragedia finale di un secolo devastato dei nazionalismi: la guerra nella ex-Jugoslavia. Ma neppure l’assedio di Sarajevo e il massacro di Srebrenica sono riusciti a spegnere il fuoco nazionalista e le convinzioni di supremazie etniche.

È un libro che insegna, ma va letto con attenzione e con il cuore, va letto per capire com’è nato quel vento freddo e nero che si chiama nazifascismo, per capire su quali basi è cresciuto e di cosa si è nutrito, per capire quali rovine ha lasciato sulla storia e nell’anima di chi l’ha vissuto e subito, per capire quante vite ha distrutto. Una volta un imbianchino di nome Adolf Hitler, disse, in una birreria: “Se un giorno andrò al potere, la prima cosa che farò sarà distruggere il popolo ebraico”. Alcuni anni dopo, l’imbianchino andò al potere. Ricordiamocelo. Ricordiamo anche le parole di Primo Levi (“Se questo è un uomo”), perché hanno ancora valore:

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.”

Maurizio Anelli  (Sonda.Life) -ilmegafono.org