C’era una volta un Paese che esisteva, a sua insaputa. Era un Paese bello, circondato da un mare bellissimo, ricco di storia, di bellezza, di città antiche e di borghi secolari che raccontavano vita, di montagne e di boschi che il mondo guardava con ammirazione. Ma lui non lo sapeva. Un Paese ricco di arte e di musica, di poesia e letteratura ma lui, ostinatamente, si rifiutava di vedere tutto questo. Questo Paese aveva però delle macchie sporche sulla coscienza, una cattiva coscienza. Eppure le anime migliori di questo Paese avevano saputo ripulire anche queste macchie di sporco, restituendo a tutti una dignità che a volte era andata perduta. Tante volte questa storia si era ripetuta e tutte le volte le macchie di sporco venivano lavate.
Allora un giorno le anime peggiori di questo Paese si riunirono, così non si poteva andare avanti: era giunto il momento di unire le loro forze per impedire che tutte le volte le macchie sporche fossero ripulite. Si riunirono attorno ad un tavolo e stabilirono un patto di sangue. Ognuno di loro avrebbe avuto un compito preciso e ognuno di loro lo avrebbe svolto senza esitare e senza scrupoli. I compiti erano chiari e precisi e ognuna di queste anime giurò fedeltà a tutte le altre. C’era chi doveva garantire il libero scorrere del denaro ed il suo ricircolo, chi doveva procurarlo, chi doveva seminare la paura e l’insicurezza, chi doveva produrre a qualunque costo, chi doveva garantire il fango e la sabbia necessari per oscurare la trasparenza, chi doveva raccontare altre storie al popolo per distrarlo, chi doveva rassicurare lo stesso popolo che tutto andava nella giusta direzione e quindi non era il caso di preoccuparsi, c’era infine chi doveva vigilare e garantire l’ordine e la disciplina. La filiera era organizzata, e sembrava funzionare.
Il Paese fu allora diviso in due grandi blocchi, e ognuno di questi blocchi in tante piccole parti. Ognuna delle parti doveva pensare di essere più bella e importante di tutte le altre, così voleva il gran consiglio. Il grande mercato non era più una bella piazza piena di bancarelle, ma un fortino con il filo spinato intorno. Ognuno difendeva la propria merce, l’importante era ed è non interrompere il flusso. Tutto è ammesso e lecito: qualunque “trattativa”, con chiunque serva e in qualunque momento.
Ogni tanto, però, può capitare l’imprevisto: qualche granello di sabbia entra nell’ingranaggio e rischia di far saltare l’intera catena. È in quel momento che entrano in scena i guardiani del gioco e il gioco diventa duro e senza esclusione di colpi, senza vergogna. I granelli di sabbia sono eliminati senza pietà, con qualunque mezzo. I guardiani sanno di poterlo fare, perché il patto prevede che altri penseranno poi a difendere, a confondere le acque. Le scorte di fango e di sabbia sembrano inesauribili. Non è mai successo nulla, in questo Paese: il fatto non sussiste. Non è successo nulla in una stanza della questura di Milano nel Dicembre del 1969, non è successo nulla a Brescia e a Bologna e neppure nel cielo sopra Ustica.
Non è successo nulla a Genova e Bolzaneto. Forse neppure a Capaci e via D’Amelio è successo nulla, perché non basta colpire i fanti se poi si baciano le mani dei generali. Non è successo nulla a Stefano Cucchi e a Federico Aldrovandi. Non è successo nulla neppure nelle fabbriche dove contano solo il risultato, la produttività, il costo del lavoro. Il costo di una vita umana è sempre un costo secondario, quasi una formalità necessaria ma di poco conto. I morti per amianto non sono mai esistiti e se sono esistiti sono stati un caso, una fatalità.
“… per non aver commesso il fatto!” è la frase più sentita nelle aule di Giustizia di questo Paese.
Quando una sentenza di primo grado osa invece affermare che sì, forse qualcosa è successo come per esempio nello stabilimento della ThyssenKrupp di Corso Regina Margherita a Torino, allora ci pensano i processi successivi a ridimensionare la storia e rimettere un po’ d’ordine nelle cose. Era il 6 Dicembre del 2007, fra pochi giorni saranno 9 anni da quella notte lunghissima.
C’era una volta un Paese che esisteva, a sua insaputa. Era un Paese non solo bellissimo ma che aveva conosciuto Donne e Uomini straordinari, capaci di lottare il tempo di una vita per un’idea di Giustizia e di Libertà, di Uguaglianza. C’era una volta un Paese che conosceva il valore della solidarietà, della fatica e della bellezza del vivere con dignità e a testa alta, che sapeva dare un senso e un valore a parole come lavoro, cultura, scuola, società, bene comune, progresso, lotta …
Esiste ancora questo Paese ma deve trovare, o ritrovare ancora, il coraggio di prendere atto della propria esistenza, dei propri diritti e dei propri doveri. Deve ricordare la propria storia e riprendere in mano il proprio destino, mettersi in gioco e in discussione. Tanti anni fa i nostri padri hanno saputo farlo, hanno vinto e hanno perso ma hanno lottato uniti per un bene comune. Ci hanno consegnato la loro storia fatta di enormi sacrifici e di mille sconfitte, ma anche di mille e irrinunciabili conquiste. Se noi non saremo capaci di riconoscerci nella loro storia, e nel loro insegnamento, lasceremo che i “Gattopardi” di questo Paese conquistino ogni giorno un pezzo di territorio in più, gli stessi “Gattopardi” che fingendo di cambiare tutto non cambieranno assolutamente nulla. Questo Paese esiste, ricordiamocelo. È nato libero, tanto tempo fa.
Maurizio Anelli (Sonda.Life) –ilmegafono.org
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