Quando il terrore affonda le mani dentro l’Europa, si sveglia una coscienza solidale fatta di candele, bandiere, messaggi, lacrime. Una reazione emotiva, sicuramente sincera, da parte di chi vive la tragedia nei luoghi che frequenta abitualmente, qualcosa che fa scattare il naturale pensiero basato sul “potevo esserci io” tra chiodi, vetri e sangue. Comprensibile. A patto che ci si dia un limite, che non si smarrisca la lucidità e non si confondano le cause, non si presti il fianco a chi in quel dolore mescola la retorica per nascondere le proprie corresponsabilità e per pompare ulteriore odio. Lo sciacallo in felpa (con tutto il rispetto per gli animali) non ha aspettato nemmeno che i morti venissero raccolti da terra per lanciarsi in una strumentalizzazione becera che ha fatto indignare i pochi che ancora provano questo nobile sentimento civile. Ma questa è storia di cui si è parlato abbastanza.

Quello di cui si dovrebbe parlare di più, invece, è la sua “illuminante” affermazione circa i colpevoli degli attentati di Bruxelles: sarebbero “i figli del buonismo”, secondo il leader della Lega, i mandanti morali del terrore. In poche parole, se i kamikaze hanno colpito ancora l’Europa, sarebbe a causa di chi parla di accoglienza e integrazione, di chi condivide una visione umana e democratica della società. Nel suo sproloquio strategico, nella sua calcolatrice del consenso elettorale destinato all’ampia fetta di subcultura che cresce in Italia ed Europa, Salvini si è ovviamente trovato in buona compagnia: fascisti, neonazisti, hooligans, xenofobi vari. Insomma tutta la bella gente che, a suo modo di vedere, sarebbe capace di garantire sicurezza attraverso il massacro sistematico dei diritti umani e di gente che con il terrorismo non c’entra nulla, ma anzi né è vittima continuamente, al di fuori dei nostri confini, senza che ciò desti clamore, bandiere, candele e lacrime in questa parte di mondo. Una posizione politica, quella dei leghisti e dei loro sodali europei, che non è solo illogica, ma soprattutto pericolosa, perché costituisce la vera minaccia per il futuro di questo continente.

Si continua artificiosamente a mischiare le vittime con i carnefici, a creare collegamenti tra profughi, rifugiati e terroristi, attraverso un’equazione costante costruita anche attingendo a menzogne e fatti mai accaduti oppure raccontati con voluta ambiguità. Una mossa la cui inopportunità e il cui squallore sono facilmente individuabili da chi è dotato di un minimo di intelletto e senso critico, doti che purtroppo, in Europa e in Italia, sono sempre più rare oppure vengono sacrificate a sporche convenienze economiche e strategie di potere politico. Come si fa a dire che il terrorismo sia colpa di chi accoglie e di chi predica solidarietà e interazione tra le diverse culture? A parte i dati e gli studi sociali, sono proprio i fatti a dimostrare che si tratta di un assunto osceno.

I terroristi di Parigi e Bruxelles, solo per citare gli ultimi due casi, erano cittadini europei, nati e cresciuti in Europa, seguendo i modelli e le regole della cosiddetta “civiltà occidentale”. Giovani come tanti, ma cresciuti quasi sempre in un contesto di ghettizzazione, ai margini, in quei quartieri che diventano spesso luoghi di ingiustizia, privazione, rabbia e violenza. Su questo l’Europa continua a non riflettere, preferendo la via più semplice della risposta dura a un nemico esterno, che viene da fuori e che va colpito in due maniere: militarmente e fermando i flussi di migranti all’ingresso delle frontiere per evitare il rischio di infiltrazioni. Una follia, un non senso, se si pensa che quegli esseri umani disperati sono in fuga dagli stessi kamikaze, dalle bombe, dai mitragliatori, dalle decapitazioni. Sono in fuga dalle violenze dell’Is e dei tanti gruppi terroristici in giro per il Medio Oriente, in fuga dalle persecuzioni di Stato, dalle guerre che l’Europa ha fatto e da quelle che ha lasciato esplodere stando immobile per anni, mentre il terrorismo, a forza di bombe e teste mozzate, avanzava e guadagnava terreno.

Il vero nemico è all’interno ed è nutrito e incoraggiato proprio dalle forze politiche xenofobe e populiste, dalle logiche della chiusura e dell’isolamento, dell’emarginazione, della non cittadinanza. Su questo bisognerebbe ragionare. Non che con ciò si voglia edificare una qualsiasi forma di giustificazione, dal momento che non tutti quelli che vivono ai margini diventano criminali o terroristi, però la storia insegna che una società che non include o che, se lo fa, agisce secondo logiche ghettizzanti, è una società che produce violenza. Pensiamo, ad esempio, a quello che in Italia è avvenuto e ancora avviene con le mafie, che storicamente hanno trovato casa, protezione, eserciti a basso costo in quei quartieri nei quali lo Stato è da sempre debole per propria responsabilità, aree nelle quali lo splendido capitale umano viene disperso, e quello che non si disperde si salva solo grazie ad associazioni, volontari, uomini di fede, insegnanti di strada.

Non è solo una questione urbanistica, naturalmente, perché anche le ghettizzazioni culturali e politiche hanno prodotto mostri: il terrorismo che in passato ha insanguinato l’Italia ha trovato spinta infilandosi in quei vuoti politici che l’establishment di Stato aveva riempito di indifferenza e ingiustizia, isolando valori e temi che avrebbero dovuto essere alla base di una politica d’avanguardia sociale. È d’obbligo ribadire e sottolineare che non è una giustificazione a quella che rimane una follia ideologica, ma è una riflessione che dovremmo fare onestamente per non mettere la testa sotto la sabbia e non lasciare che chi ha un amplificatore acceso sull’opinione pubblica usi la propria voce solo per proclamare reazioni violente o idee che partoriscano nuove emarginazioni. Il terrorismo si eccita quando può avere un pretesto da utilizzare come cornice nella quale inquadrare quelle che in realtà sono solo azioni violente, vigliacche e al servizio di squallide logiche economiche o politiche.

Se veramente vogliamo combatterlo, oltre all’azione di controllo, al lavoro meticoloso di forze dell’ordine, apparati di intelligence e magistrati, è necessario respingere le logiche pericolose di Salvini, Meloni, Le Pen, Orbàn e soci, ma soprattutto rianimare gli agonizzanti principi di solidarietà, inclusione reale, accoglienza, interazione, tutti valori che vengono bastonati e umiliati davanti alle porte di ingresso di questo continente. Se veramente vogliamo ritrovare sicurezza, all’azione repressiva dobbiamo affiancare un cambio di rotta culturale, prima di tutto annullando accordi indecenti come quello con la Turchia, modificando il regolamento di Dublino, realizzando corridoi umanitari funzionanti come quello inaugurato da Sant’Egidio e dalla chiesa valdese.

E poi, nelle città, spazzando via le logiche dei ghetti, attraverso un nuovo modo di pensare le città stesse, con il recupero di quelle aree di emarginazione che basterebbe davvero poco (serietà e volontà) per riportare a galla, realizzando inclusione e opportunità anche economiche, come avviene ad esempio in tante parti d’Italia, dove ci sono esperienze virtuose (il modello Riace è tornato ultimamente d’attualità), spesso volontarie, capaci di superare problemi immensi di risorse e mezzi e di creare modelli funzionanti di società che guardano al futuro.

Se non lo faremo e proseguiremo, invece, sulla strada indicata dall’attuale politica europea e soprattutto dalle spinte delle destre populiste, allora prepariamoci a soffrire e piangere ancora. Con l’aggravante di avere sulla coscienza anche le vittime di chi ha bussato chiedendoci aiuto e si è trovato un pugno in faccia e una porta chiusa. E nonostante questo, ha pure sentito il dovere di chiederci scusa per qualcosa di cui non ha alcuna colpa.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org